La Parà Adumà
di Rav Gérard Touaty
Per comprendere la Torà nella sua pienezza, non ci si può accontentare di una lettura letterale. Per quanto questa sia corretta, occorre coglierla così come va percepita nella sua essenza profonda.
Questa parashà ci fornisce un esempio luminoso di tale principio, con la legge della vacca rossa, il cui rituale doveva consentire di purificare chi aveva avuto un contatto, diretto o indiretto, con un morto. La morte in effetti è un'impurità di cui ci si deve sbarazzare se si deve entrare nel Bet Ha-Miqdàsh. Tuttavia, alcuni commentatori precisano che questa "morte" va ben al di là di uno status strettamente biologico. Accade talvolta che il "morto" qui evocato, sia ben vivo…
La parashà di Chuqqàt dedica tutto il suo primo capitolo alla mitzwà meno comprensibile dell'ebraismo: quella della vacca rossa1. Questo precetto aveva, come ragion d'essere, la purificazione di un individuo che aveva avuto un contatto diretto o indiretto con un morto. Per fare ciò, doveva essere asperso con qualche goccia proveniente da un miscuglio di ceneri di una vacca rossa con dell'acqua.
Il Midràsh Rabbà riferisce che quando D. insegnò a Mosè il concetto dell'impurità della Morte, questi fu colto dalla paura. Il testo ci dice che il suo viso divenne "scarlatto"! Non ritrovò la serenità che quando D. gli insegnò che la legge della vacca rossa poteva cancellare questa impurità.
Diventare impuro
Un secondo dettaglio di questa legge ci pone bruscamente di fronte al suo carattere incomprensibile: l'uomo che si occupava di raccogliere le ceneri della purificazione diventava impuro a sua volta! È vero che il suo stato di impurità non durava che fino a sera, mentre colui che aveva avuto un contatto con un morto doveva purificarsi per sette giorni. Ciò non di meno questo dettaglio lascia perplessi: com'è che colui che trasporta l’acqua che purifica il suo prossimo può diventare impuro?2 Infine, il testo della parashà riferisce che la vacca doveva essere scannata al di fuori dell'accampamento, a differenza degli animali offerti come sacrifici ai quali veniva fatta la shechità all'interno del Santuario3.
Ricostruire il legame
È evidente che questa legge va oltre la comprensione razionale, ma, malgrado il suo carattere ermetico, è possibile scorgere in essa una portata morale che orienterà la nostra esistenza nella direzione del Bene. La morte, qui, può essere compresa nella sua dimensione spirituale.
La pratica delle mitzwòt e lo studio della Torà costituiscono la vera vita di un ebreo. Se se ne distacca, non fosse che per un istante, ne rimarrebbe "devitalizzato": è come morto, staccato da D., che è la radice della sua vita. E quando si incontra un ebreo che ha smarrito il suo legame con D., si deve reagire come Moshè che fu realmente colto dal panico di fronte a questa constatazione.
La rottura di quest'uomo con l'Ebraismo non può lasciarci indifferenti. Bisogna ricostruire il suo legame con D. Ma non ci si può limitare a questa constatazione. Bisogna agire, purificarlo, grazie allo studio della Torà, per permettergli di rientrare nel Miqdàsh (dell'Ebraismo). Tuttavia, questa azione non può svolgersi solo con una modalità di impegno tranquillo. Occorre essere pronti a impegnarsi per lui al di là del nostro comfort personale, fino al punto di "rendersi impuri", ossia ad essere pronti a lasciar da parte i nostri soldi, la nostra salute, il nostro tempo o l'interesse che portiamo ai piaceri mondani. In qualche modo bisogna uscire da sé stessi, dai propri limiti, proiettarsi all'esterno. Come, allusivamente ci insegna la vacca che era bruciata "al di fuori" dell'accampamento della santità. Affinché questo ebreo "lontano" possa ritornare dentro l'accampamento.
Tratto da Actualité Juive n. 1484. Traduzione di Emanuele Cohenca.
Note:
1. Riguardo a questa mitzwà, re Shelomò, che era il più saggio di tutti gli uomini disse: “Voglio acquistare sapienza; ma la sapienza è rimasta lontana da me” (n.d.r.).
2. Vedi Rashì (Bemidbàr, 19:21).
3. La vacca rossa infatti non era un sacrificio (n.d.r.)