Parashà di Mattòt: Sul scioglimento del voto di Lucia Mondella
Nei Promessi Sposi, Lucia Mondella viene rapita dagli sgherri dell’Innominato che opera per conto di Don Rodrigo. Portata al castello dell’Innominato la poveretta disperata, pregando di essere salvata, fa un voto di rimanere vergine. Il voto viene sciolto quando Lorenzo Tramaglino, il fidanzato di Lucia, va a cercare fra Cristoforo nel Lazzaretto di Milano. Fra Cristoforo dice a Lucia che essendo lei legata da una promessa di matrimonio a Lorenzo, non poteva fare un voto contro la volontà di un altro al quale lei era obbligata e pertanto ne scioglie il voto. Così Lucia e Lorenzo si possono sposare.
Qual è la fonte biblica sui voti e sulla liberazione dai voti? Nella parashà di Mattòt è scritto:
“Moshè parlò ai capi delle tribù dei figliuoli d’Israele, dicendo: Questo è quel che l’Eterno ha ordinato: Quando uno avrà fatto un voto all’Eterno o avrà con giuramento contratta una solenne obbligazione, non violerà la sua parola, ma metterà in esecuzione tutto quello che gli è uscito di bocca. Così pure quando una donna avrà fatto un voto all’Eterno e si sarà legata con un impegno essendo in casa del padre, durante la sua giovinezza, se il padre, avendo conoscenza del voto di lei e dell’impegno per il quale ella si è legata, non dice nulla a questo proposito, tutti i voti di lei saranno validi, e saranno validi tutti gli impegni per i quali ella si sarà legata. Ma se il padre, il giorno che ne viene a conoscenza, le fa opposizione, tutti i voti di lei e tutti gl’impegni per i quali si sarà legata, non saranno validi; e l’Eterno le perdonerà, perché il padre le ha fatto opposizione”.
Sull’argomento dei voti nel Talmud babilonese vi è il trattato Nedarìm (voti).
Qual è la differenza tra un nèder, un voto, e una shevua’, un giuramento? Il nèder, il voto, è una proibizione che ricade su qualcosa che viene proibito, nello stesso modo in cui non si può trarre alcun beneficio da un sacrificio offerto all’Eterno. La shevua’, il giuramento, invece ricade sulla persona. Per esempio: “giuro che non mangerò o giuro che mangerò; giuro che ho mangiato o giuro che non ho mangiato”. Un’altra differenza tra un nèder e una shevua’ è che quando si fa un giuramento, non si può giurare di annullare (non osservare) una mitzvà perché abbiamo tutti giurato al Monte Sinai di osservare le mitzvòt. Un nèder invece può annullare una mitzvà. Per esempio, si può fare un nèder che la matzà sia proibita come un sacrificio anche se durante il sèder di Pesach è mitzvà mangiarla.
Nel passo succitato della Torà impariamo che quando il padre viene a sapere del voto della figlia, lo può invalidare (lehafèr) da quel momento; in modo analogo per una donna sposata, il marito può annullare il voto della moglie e invalidarlo da quel momento. Nel trattato di Chaghigà (10a) del Talmud babilonese i maestri insegnano che un chakhàm esperto o un bet din (tribunale) possono sciogliere (lehatìr) un voto, come se non fosse mai stato fatto. Il voto viene sciolto nello stesso modo in cui viene sciolto un nodo (Bet Yosef, Y.D., 228)
Mentre l’annullamento di un voto da parte del padre o del marito è scritto nella Torà, nella Torà non vi è una fonte per lo scioglimento di un voto da parte di un chakhàm o di un bet din. I maestri affermano (Chaghigà: 1:7) che la regola dello scioglimento dei voti (hetèr nedarìm) “si libra in aria” e non ha una base nella Torà scritta. Il Rambam nel suo commento alla Mishnà (Nedarìm: 10:8 alla fine) scrive che è una tradizione ricevuta da Moshè (kabalà).
Rav Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Bemidbàr, p. 239) spiega che secondo la maggioranza degli antichi commentatori un voto può essere sciolto per due motivi: la persona che ha fatto il voto ha rimorso (charatà) e si pente di averlo fatto; oppure il bet din trova “una via d’uscita” (pètach) per liberare dall’obbligo colui che ha fatto il voto. Secondo il Nachmanide, citato da rabbenu Nissim (in Nedarìm, 27a), lo scioglimento di un voto da parte del bet din sulla base di “una via d’uscita” è basato sulla nozione che il voto era stato fatto per errore. Lo scioglimento di un voto sulla base del rimorso deriva invece dall’autorità del bet din e non da un vizio nel voto stesso. Un voto fatto per errore è quel voto fatto da una persona che ha commesso un errore nel valutare la situazione e nel non prevedere le conseguenze del voto. Il bet din apre la possibilità di sciogliere il voto chiedendo a chi l’ha fatto: “Se tu avessi pensato a ... avresti ugualmente fatto il voto”? Il voto era stato fatto in errore e viene cosi sciolto. Quando una persona chiede al bet din di essere liberata da un voto per rimorso, la richiesta si basa sul fatto che la situazione è cambiata e che i sentimenti (feelings) e il modo di vedere (outlook) di chi aveva fatto il voto sono ora diversi rispetto a quando aveva fatto il voto. Delle cose che prima apparivano di grande importanza ora appaiono banali. Lo scioglimento di un voto basato su “una via d’uscita” è basato su un errore dell’intelletto, mentre lo scioglimento di un voto per rimorso si basa su fattori emozionali.
Nello Shulchàn ‘Arùkh (Y.D., 228:7) è scritto: “ Chi prova rimorso per aver fatto un voto non ha bisogno di “una via d’uscita” [...] a condizione che abbia rimorso e vorrebbe che il voto non fosse mai stato fatto”.
Questo non era il caso di Lucia Mondella. Lucia era perfettamente cosciente di quello che faceva e non provava alcun rimorso. Bisogna quindi concludere che un bet din avrebbe potuto sciogliere il voto di Lucia solo sulla base di “una via d’uscita” con la domanda “Se tu avessi pensato a ... avresti ugualmente fatto il voto”? .
Nello Shulchàn ‘Arùkh (228:45) R. Moshè Isserles scrive: “non bisogna sciogliere un nèder fatto nel momento della sventura (‘et tzarà) se non per una mitzvà o per una grande necessità...”. Il nèder di Lucia Mondella era stato fatto nel momento di una sventura.
R. Feivel Cohen (Brooklyn, 1937-) nel suo commento Badè Ha-Shulchàn alle Hilkhòt Nedarìm (228: 45:308) scrive: “è cosa stabilita che anche se bisogna stare attenti ed evitare di fare nedarìm, è tuttavia permesso fare nedarìm nel momento della sventura e appare che sia cosa desiderabile e appropriata fare nedarìm in quelle circostanze. Il Rema (R. Isserles) viene ad aggiungere che nei nedarìm fatti nel momento della sventura vi è un’altra regola e cioè che un nèder del genere a priori non va sciolto altro che per una mitzvà o per una grande necessità. [...] E poiché un nèder del genere è stato fatto in senso di gratitudine al Santo Benedetto che lo ha salvato dalla sventura, non lo si scioglie senza l’accordo del Benedetto. Pertanto non lo si scioglie altro che per una mitzvà nel qual caso si sa che così è la volontà divina [...] e apparentemente anche il caso di grande necessità equivale a una mitzvà.
R. Feivel Cohen nei biurìm aggiunge: “Senza queste circostanze non bisogna sciogliere un voto fatto nel momento della sventura. Egli aggiunge che R. Levi ibn Chaviv (Zamora, 1480-1545, Gerusalemme) in un suo responso (siman 3, “ve’od”) scrive che questo vale quando chi ha fatto un nèder ha detto in modo esplicito che fa il nèder al fine che l’Eterno lo salvi [come il patriarca Ya’akòv che disse: se Iddio sarà con me e mi proteggerà...”]. Tuttavia se non ha pronunciato queste parole, anche se così pensava, si scioglie il nèder come gli altri nedarìm [...]. Il motivo addotto R. Levi è che quando qualcuno fa un nèder a condizione che l’Eterno lo salvi e quando viene salvato vuole farlo sciogliere, non è logico che lo possa fare perché sembra quasi una presa in giro. R. Feivel Cohen sostiene tuttavia che nessuno degli altri posekìm afferma una cosa del genere e il fatto che non abbiano scritto nulla sostiene la posizione non vi sia differenza che il voto sia stato pronunciato o solo pensato.
Da qui impariamo che un bet din avrebbe sciolto il nèder di Lucia Mondella se ella lo avesse richiesto e il bet din avrebbe sciolto il voto con la motivazione che in questo caso vi era la mitzvà di mettere su famiglia. Rimane il fatto però che Lucia Mondella non aveva alcuna intenzione di sciogliere il voto. Il bet din sollecitato da Renzo Tramaglino avrebbe potuto cercare di convincere Lucia Mondella a chiedere lo scioglimento del voto. Ma se Lucia Mondella non voleva che il voto fosse sciolto, non ci sarebbe stato nulla da fare. (Ho confermato questa conclusione al telefono con rav Feivel Cohen). Fra Cristoforo fece quindi tutto secondo la regola: egli disse a Lucia che aveva la facoltà di liberarla dal voto se Lucia lo avesse chiesto. Così Lucia disse (fine del cap. 36): “Allora...! Allora...! lo chiedo”. E poté così sposare Lorenzo. “And they lived happily ever after”.
(La foto di Lucia prigioniera degli sgherri dell’Innominato è presa dall’edizione de I Promessi Sposi dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1927)