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UNA CONFERENZA DI SARA PINK OTTOLENGHI SUL BERÌT MILÀ



Da un discorso di Sara Pink Ottolenghi a Milano alle signore dell’Adei. (Autunno 1968 - 5729).

A richiesta dell’Adei-Wizo Sara tenne due conferenze nel lontano 1968 durante alcune giornate di studio con interventi di rabbini, medici, psicologi ecc. Sara, come dice all’inizio delle sue conversazioni, parlò come semplice madre di famiglia ebraica. Ma portò una nota originale che destò molto interesse perché, allora, alcuni punti dei suoi discorsi non erano conosciuti da buona parte del pubblico, in prevalenza femminile. Naturalmente, Sara parlò in italiano, un italiano marcato da un forte accento inglese che però, colla dolce voce di Sara, suonava ancora più interessante e rivelava una personalità piena di simpatia. Il primo discorso, che è riportato di seguito, fu quello semplice sul Berìt Milà, ma dopo qualche tempo le fu chiesto di parlare anche sul matrimonio. Le signore della comunità askenazita le chiesero di ripetere le due conferenze alla loro Frauenverein e questo fu un piccolo inizio di collaborazione fra le due associazioni femminili Adei/Wizo e Frauenverein (dal libro di Memorie di Beniamino Ottolenghi)


Spero vorrete scusare se vi richiedo, con il mio accento, uno sforzo particolare per comprendere le poche parole che sto per dirvi sui vari aspetti della mitzwà del Berìt Milà. D’altra parte se capite Stanlio e Ollio forse non sarà così difficile.


Questo è il mio patto che osserverete, tra Me e voi e la tua discendenza dopo di te: ogni maschio tra di voi sia circonciso e sarà questo il segno tra Me e voi nella vostra carne.


Queste, tra le parole di D. ad Abramo, dicono nella loro semplicità più di tutti i volumi che, dotti o pseudo-dotti, hanno poi scritto sull’argomento. Non è quindi la circoncisione un resto di antichi riti ancestrali. Anche gli aborigeni dell’Australia praticano la circoncisione quale rito di iniziazione sessuale, ma per noi la circoncisione è il segno del patto spirituale tra D. e il nostro popolo e, come tale, il Berit Milà è stato sentito dal nostro popolo nei secoli.


Persino i nostri nemici, come Antioco e Adriano, hanno capito che, se si voleva colpire a fondo l’Ebraismo, si doveva proibire la prima mitzwà fondamentale in forza della quale ogni maschio ebreo entra nel patto di Abramo. Gli assimilati dell’epoca ellenistica e romana per poter essere “moderni e progressisti” nel frequentare stadi e terme giunsero, nel negare la propria ebraicità, all’aberrazione dell’Epistasmo, una operazione che cancellava i segni della circoncisione. Ma il filosofo Spinoza, che pure aveva rinunciato a far parte del popolo ebraico, diceva secoli più tardi: “Attribuisco tale importanza al segno del patto che sono persuaso sia stato sufficiente a mantenere di per se stesso l’esistenza separata della nazione per sempre”.

Il valore spirituale di questa mitzwà, che dovrebbe a rigor di logica far parte della sfera esclusivamente maschile della vita ebraica, è stato sentito profondamente dalle madri ebree che lo hanno incoraggiato, reprimendo comprensibili timori, giungendo in tempi di persecuzioni a sfidare la morte, praticandolo esse stesse ai loro figli, come leggiamo nel libro dei Maccabei.

Dice il Talmud che Tinius Rufus domandò sarcasticamente: “Perché D. non ha creato l’uomo come voleva che egli fosse?”. Al che Rabbì Aqivà rispose: “Perché l’uomo possa migliorare se stesso, obbedendo ad un precetto divino”. Altrove è detto: La circoncisione è uno dei comandamenti, che essendo stati accettati con gioia, saranno sempre obbediti con gioia e poiché il popolo diede la propria vita per essi, saranno sempre osservati con immutata lealtà.

E vediamo quindi come si svolge oggi questa gioiosa celebrazione sia per noi che per i nostri fratelli, che oggi per esempio, in Russia non possono compierla senza penose preoccupazioni.

La Torà stabilisce che il Berit Milà si debba svolgere l’ottavo giorno dalla nascita, ed una ulteriore prova della estrema importanza data a questo comandamento, l’abbiamo dalla disposizione che il Berit Milà si debba eseguire l’ottavo giorno, anche se questo cade di Sabato o di Yom Kippur.

La sera prima del Berìt Milà la casa è aperta a tutti per un ricevimento, che in alcune Comunità è chiamato “Ben Zakhàr” (figlio maschio). Inoltre, a conferma del carattere gioioso della mitzwà, nella preghiera del mattino a cui partecipano il padre del bambino o il Moel, viene omessa la preghiera penitenziale del Tachanùn, come nei giorni festivi o semi-festivi.

In alcune Comunità la circoncisione viene celebrata al Bet Ha- Kenèsset ed il bimbo è portato all’ingresso della Sinagoga dalla moglie del Sandàk che lo porge al Moel.

Abbiamo ora nominato tutti i più importanti partecipanti alla mitzwà. Indispensabile naturalmente è il bambino, poi abbiamo il padre, il Sandak che tiene il bambino sulle proprie ginocchia durante la circoncisione, il Moel cioè colui che compie l’operazione della Milà e non dimentichiamo il Profeta Elia che, come vedremo, ha una propria sedia riservata alla destra del Sandàk.

All’entrata del bambino, i presenti gli danno il benvenuto con l’antica formula “Barukh habbà”. Quindi il Moel pone il bambino sulla sedia di Elia e dice: “Questo è il trono di Elia, sia ricordato in bene”.

Il Moel dice alcuni versi della Torà e dei Salmi e quindi, posto il bimbo sulle ginocchia del Sandàk, dice la benedizione “Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro, Re del mondo, che ci ha santificato con i Suoi precetti e ci ha dato comandamenti riguardo alla Milà”.

La Milà viene quindi eseguita con la massima rapidità ed il padre dice: “Benedetto sii Tu o D. nostro, Re del mondo, che ci ha santificato con i Suoi precetti e ci ha comandato di farlo entrare nel patto di Abramo nostro padre”.

I presenti rispondono: “Come è entrato nel patto, possa egli entrare nella Torà, nella Chuppà e nelle opere buone”. Questo è un antico augurio, ma è, nello stesso tempo, un ammonimento solenne per i genitori del bimbo che è appena entrato a far parte del Popolo Ebraico.

Già abbiamo visto che il bimbo, prima della Milà, è posto sulla sedia di Elia che è chiamato nel libro di Malakhì “Malàkh haberìt” (L’angelo del patto): la presenza al Berìt Milà di Elia viene interpretata nel senso che egli viene chiamato quale testimone delle sue parole contro il Popolo d’Israele che, secondo la sua opinione aveva abbandonato il patto (berit) del Signore durante le persecuzioni di Jezebel (I Re 19:10).


Ma non dimentichiamo che Elia è, nella tradizione ebraica, il precursore del Messia e che la presenza del trono di Elia non è semplicemente una curiose superstizione, ma bensì un richiamo di alto valore spirituale. Ogni bimbo innocente che entra a far parte del popolo ebraico ha in sé intatte tutte le facoltà perché si avvicinino e si compiano i giorni messianici su questa terra. D. dà a noi questa possibilità: da come educheremo questo bimbo a compiere i suoi doveri di ebreo e di uomo, dipende il futuro del nostro popolo e del mondo. A prima vista le richieste sono semplici: Torà, Chuppà e Ma’asìm Tovìm.

Torà, cioè conoscenza delle leggi che ogni ebreo deve osservare. Chuppà, cioè matrimonio, o meglio formazione di una nuova famiglia ebraica. Ma’asìm Tovìm, opere buone che debbono essere la diretta conseguenza della Torà, perché l’ebraismo non salva con solo con la fede, ma sono necessarie anche le opere.

La Torà deve essere messa in pratica sia per i comandamenti che riguardano i doveri dell’uomo verso D., sia per i comandamenti che riguardano i doveri dell’uomo verso il suo prossimo. Solo così ogni ebreo può dare il suo contributo all’avvento del Messia.

Ho detto che, a prima vista, queste richieste sembrano semplici perché questo ideale di Torà, Chuppà e Ma’asìm Tovìm non richiede che i nostri figli diventino uomini di successo, ricchi o potenti, ma solo che siano educati a divenire buoni ebrei, restare tali con il matrimonio ebraico, fare opere di bene per se stessi e per il mondo.

Invece, forse perché ci sembrano troppo semplici e modesti, noi non dedichiamo i nostri maggiori sforzi a questi ideali, così i giovani vedendo che nelle famiglie l’ideale ebraico e la vita ebraica non hanno assoluta priorità, non comprendono perché dovrebbero ad essi sacrificare altre aspirazioni che possono momentaneamente sembrare superiori. Se in una famiglia non si è mai dato ai figli l’esempio che per obbedire alla Torà si debba sacrificare qualche cosa, sia pure la gita di sabato o la possibilità di più lauti guadagni, come si potrà poi pretendere da essi il sacrificio di quella che, talvolta, considerano la propria felicità? Forse sono andata lontano dal tema di questa conversazione, ma non troppo, poiché tutte le nostre mitzwòt non sono vuoti formalismi, come

taluni pretendono, ma bensì modi profondi per perpetuare verità assolute.

Il Moel continua con la benedizione del vino, simbolo di gioia, e dando il nome al bimbo, implora per lui e i genitori benedizioni e felicità concludendo ancora: possa egli entrare nella Torà, nella Chuppà e nelle Opere Buone. Poi si beve dalla coppa. Alcune gocce di vino vengono date al bimbo, forse come anestetico, ed il resto della coppa viene inviato alla madre, perché partecipi della gioia e dei futuri doveri. Vi è inoltre una formula speciale per la benedizione dopo il pasto a cui partecipano il padre, il Sandàk e il Moel, essendo il pasto dopo la Milà uno dei pasti di precetto. Infatti, nella tradizione ebraica, è molto importante esternare la propria gratitudine a D., seduti a mensa, meglio se con un minian, e questo a ricordo dei sacrifici del Tempio.

Purtroppo al giorno d’oggi vengono anche preparati pranzi e ricevimenti per questo tipo di cerimonie, con cibi non kasher, e non si comprende come questo sia non solo in contrasto con lo spirito della mitzwà, ma che così non si educano i propri figli alla coerenza nelle cose ebraiche.

Una antica usanza ashkenazita è quella di preparare un piatto a base di ceci per il pasto del venerdì sera precedente la Milà. Vi sono varie spiegazioni per tale uso, ma questa mi pare soffusa da un sottile spirito di poesia. In Yiddish la parola BOB (ceci) si scrive con le lettere Beth – Alef

– Beth che sono anche le iniziali della frase: Barùkh Attà Bevoèkha (Benedetta sia la tua venuta) che si intende rivolta al neonato. E con questa benedizione voglio chiudere la mia modesta relazione.

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