TZITZÌT: LO GUARDERETE E VI RICORDERETE
di Michael Wagner Cogoi
Scopo di questo articolo è quello di riassumere alcuni insegnamenti dei nostri Maestri relativi alla mitzwà dello tzitzìt. In particolare ci soffermeremo sui seguenti argomenti: (i) la funzione della mitzwà dello tzitzìt, (ii) l’importanza di indossare il tallìt qatàn durante tutto il giorno, (iii) il modo corretto di indossare il tallìt gadòl e (iv) perché questa mitzwà è limitata agli uomini.
La mitzwà del tzitzìt
Quando si indossa un indumento con quattro angoli1, è mitzwà fare sì che sia dotato di tzitzìt, come è scritto: "che facciano delle frange (tzitzìt) agli angoli delle loro vesti"2 e "ti farai dei fili intrecciati ai quattro angoli del vestito con il quale ti coprirai3".
Qual è la funzione dello tzitzìt? Nello Shir Ha-Shirìm (2:9) la parola
metzìtz significa “osservare attentamente”. Con riferimento allo tzitzìt,
nella Torà è scritto: "Quando voi lo vedrete, ricorderete tutti i
comandamenti dell’Eterno e li eseguirete4". Da ciò si deduce che se si
indossa un indumento con gli tzitziòt non solo si compie una mitzwà, ma si ha con sè anche una sorta di promemoria visivo che conduce
all’osservanza di tutte le altre mitzwòt. Il tosafista R. Yitzchàq di Corbeil
afferma che guardare il tzitzìt è una delle 613 mitzwòt, perché è scritto: “lo osserverete”5. La funzione visiva è quindi parte integrale della mitzwà dello tzitzìt dato che, come insegnano i nostri Maestri, “vedendo ci si ricorda e il ricordare conduce all’azione”6.
Un’allusione alla funzione propedeutica dello tzitzìt deriva dal fatto che il
nome, le componenti e la struttura stessa dello tzitzìt costituiscono, nel
loro insieme, un riferimento alle mitzwòt. Rashì spiega che la ghematria
(il valore numerico) della parola tzitzìt è 607. Se a questo numero si
aggiungono gli 8 fili dai quali è composto e i 5 nodi con i quali è
annodato, si giunge a 613 che è il numero delle mitzwòt della Torà8.
Il versetto "Quando voi lo vedrete, ricorderete tutti i comandamenti dell’Eterno e li eseguirete9” continua con le parole: “e non
devierete seguendo i vostri cuori e i vostri occhi”. I Maestri nel Midràsh
Tanchumà (15, menzionato da Rashi in loco) spiegano che gli occhi non
sono solo gli strumenti che mettono in moto il circolo virtuoso
dell’osservanza delle mitzwòt, ma anche gli strumenti che muovono la
spirale che porta nell’opposta direzione, dato che “l’occhio vede, il cuore
desidera e il corpo compie le trasgressioni”.
Per insegnare l’importanza della mitzwà dello tzitzìt i nostri Maestri
nel trattato talmudico Menachòt (44a) raccontano di un uomo che era
affetto da un grave vizio ed era disposto a spendere grandi somme per
soddisfarlo. In una occasione intraprese un viaggio lontano da casa per
soddisfare il proprio vizio, tuttavia proprio prima di compiere una
trasgressione gli tzitziòt lo schiaffeggiarono ed egli si tirò indietro.
R. Moshè Alshich nel suo commento Torat Moshè (Bemidbàr,
15:39) spiega che la qedushà che gli venne infusa dagli tzitziòt lo risvegliò
al punto che gli apparve che gli tzitziòt si fossero messi davanti a lui come due testimoni per impedirgli di fare del male. Una prova della duplice funzione dello tzitzìt di aiutarci a non compiere delle trasgressioni e a osservare le mitzwòt.
Non devierete seguendo i vostri cuori e i vostri occhi
L’autore del Sefer HaChinnùkh (mitzwà 387) spiega che il versetto “non
devierete seguendo i vostri cuori e i vostri occhi” (Bemidbàr, 15:39)
costituisce una mitzwà indipendente. L’ammonimento di non seguire i
cuori è un riferimento alle idee che allontanano dalla Torà. Quello di non
seguire i propri occhi è invece un riferimento ai desideri di questo mondo, che ci possono distogliere dall’osservare la Torà. I pensieri e gli impulsi sono il terreno sul quale germogliano le trasgressioni.
R. Israel Meir HaKohen, detto il Chafetz Chayim, nella sua opera
Shemiràt HaLashòn (fine cap. 3) scrisse che quando si hanno pensieri
impropri o quando ci si incollerisce10 è importante guardare gli tzitziòt per aiutare a ricomporci. Da qui impariamo che vi è una terza funzione dello tzitzìt, ovvero quella di aiutarci a ricondurre nella giusta direzione non solo le nostre azioni, ma anche i nostri pensieri.
Il versetto dello shemà’ immediatamente successivo a quello dello
tzitzìt, dice: “in modo che ricorderete e osserverete tutte le Mie mitzwòt
e sarete qedoshìm11 per il vostro D.”. R. ‘Ovadià Sforno nel suo
commento alla Torà (Bemidbàr, 15:40-41) afferma che gli tzitziòt fanno sì che “possiate ricordare ed essere liberi da pensieri vani e quindi ricordare le meraviglie della Torà e grazie a loro riconoscere la grandezza
dell’Eterno e la Sua benevolenza e, in questo modo, fare tutte le Sue
mitzwòt con amore e riverenza ed essere qedoshìm”. È per questi e per
altri motivi che i nostri Maestri insegnano che “l’osservanza della mitzwà
dello tzitzìt vale tanto quanto tutte le mitzwòt della Torà” (Menachòt, 43b).
Il tallìt qatàn
La funzione di promemoria visivo dello tzitzìt è più efficace se si indossa il tallìt tutto il giorno e non solo durante la tefillà nel bet hakenèsset. R.
Avraham Ibn ‘Ezra bel suo commento alla Torà scrive che per evitare di
commettere trasgressioni è più importante indossare lo tzitzìt nelle ore
lavorative che durante la tefillà12. Questo lo si può fare vestendo il tallìt
qatàn, ossia il tallìt di dimensioni ridotte che si indossa normalmente
sotto i vestiti.
R. Israel Meir Ha-Kohen nella Mishnà Berurà (24:1:1) cita l’opera
halakhica Arba’à Turìm dove è scritto che indossare tutto il giorno il tallìt
qatàn è come fare un nodo alla cintura per non dimenticare la richiesta
di un amico. Il Gaon di Vilna cita il Sefer Ha-Ira nel quale R. Yonà
Ghirondi scrive: “E abbia un tallìt qatàn e lo indossi sotto il vestito perché la cosa principale della mitzwà dello tzitzìt è di indossarlo costantemente, perché è stata data per ricordare le mitzwòt e affinché non si segua l’arbitrarietà del proprio cuore e la vista dei propri occhi”. E il Gaon aggiunge che la fonte di R. Yonà è il versetto dove è scritto: “E non devierete seguendo i vostri cuori e i vostri occhi”13.
Si narra che il Gaòn di Vilna in tarda età prese in mano gli tzitziòt
e si rammaricò con i suoi discepoli dicendo che in questo mondo è così
semplice compiere tutto il giorno una mitzwà come quella del tzitzìt,
mentre nel mondo nel quale stava per entrare non sarebbe stato
possibile farlo per tutto l'oro del mondo. Si capisce quindi perché nello
Shulchàn 'Arùkh (O.C., 24:1) sia scritto che "è bene e giusto che ogni
uomo stia attento a indossare il tallìt qatàn tutto il giorno in modo da
ricordare la mitzwà in ogni momento". Questo minhàg è menzionato
anche dai poseqìm italiani14.
Sottolineando l’importanza di non mancare di osservare la mitzwà dello tzitzìt, c’è chi scrive che quando si va in viaggio è bene avere un tallìt qatàn di scorta nel caso in cui quello che si indossa venga danneggiato.
R. Moshè Feinstein in un responso scritto nel 1973 afferma che, anche se a rigor di legge l’obbligo di osservare la mitzwà dello tzitzìt incombe solo se si indossa un abito con quattro angoli, dal momento che al giorno d’oggi è invalso universalmente l’uso di indossare il tallìt qatàn tutto il giorno, questo minhàg ha assunto forza normativa e bisogna comportarsi seguendo l’uso e a maggior ragione quando osservandolo si
compie una mitzwà15. Riguardo all’età nella quale è appropriato iniziare
a educare i bambini all'osservanza delle mitzwòt, nel commento Sha’arè
Teshuvà allo Shulchàn ‘Arùkh viene indicato “che si comincia a fare
indossare ai bambini il talìt qatàn quando cominciano a parlare o almeno quando arrivano all’età di tre anni16.
Il tallìt gadòl
Per quanto riguarda l’età alla quale indossare il tallìt gadòl, ossia il tallìt
che si indossa durante la tefillà, vi sono diversi usi17. I sefarditi iniziano
normalmente a indossare il tallìt gadòl prima del bar mitzwà a partire
dall'età nella quale sono in grado di indossarlo correttamente. Così pure
scrive R. Lampronti nel Pàchad Yitzchàq (s.v. Tzitzìt). Gli ashkenaziti
tedeschi usano indossarlo a partire dal bar-mitzwà. Gli altri ashkenaziti
lo indossano solo a partire dal matrimonio. È bene stare attenti a
indossare il tallìt almeno durante la tefillà del mattino18 dato che nel
terzo capitolo dello shemà’19 si menziona la mitzwà dello tzitzìt; a tal
riguardo i nostri Maestri nello Zòhar insegnano che "chi recita lo shemà’
[del mattino] senza tzitzìt testimonia falsamente contro se stesso, perché legge la parashà dello tzitzìt e non osserva quanto prescritto"20.
Come si indossa il tallìt
Nel Kitzùr Shulchàn ‘Arùkh (9:8) è scritto che il modo appropriato di
indossare il tallìt è di alzarsi in piedi e di distenderlo con due mani
concentrandosi sul fatto che Ha-Qadòsh Barùkh-Hù (il Santo Benedetto)
ci ha comandato di ammantarci con il tzitzìt per poter ricordare e
osservare tutti i Suoi comandamenti.
Poi sempre in piedi si recita la berakhà "lehit'atèf ba-tzitzìt" (secondo un altro minhàg si dice “be-tziztit”) e senza interruzione, si compie la 'atifàt ishma’elìm, ovvero si avvolge la testa come fanno gli ismaeliti21: si appoggia il tallìt sulla testa facendolo arrivare fino alla bocca, si avvolge il tallìt attorno al collo e alle spalle, mettendo tutti e quattro i tzitziòt sulla spalla sinistra e si rimane in questa posizione peril tempo necessario per camminare una distanza di quattro cubiti (circa
due metri)22.
Il tallìt si indossa sulle spalle con due tzitzìot di fronte, uno a destra e uno a sinistra, e due dietro in modo da essere circondati da mitzwòt23. Il
miglior modo di farlo è di ripiegare il tallìt sulle spalle in modo che vi sia
uno tzitzìt davanti e uno dietro, sia alla destra che alla sinistra del corpo. In questo modo si evita anche che gli tzitziòt tocchino il pavimento24. È
importante tenere conto del fatto che il tallìt va indossato nel modo
prescritto e non solo appoggiato alle spalle o usato come una sciarpa.
Questo lo si impara dal versetto della Torà dove è scritto "ti farai dei fili
intrecciati ai quattro angoli del vestito con il quale ti coprirai25" e nella
berakhà diciamo lehit'atèf , che significa “avvolgerci”. I nostri Maestri nel trattato talmudico di Mo’èd Qatàn (24a) insegnano che ogni qualvolta viene menzionata la parola 'atifà, avvolgimento, si intende la 'atifàt ishma’elìm (come fanno gli ismaeliti). Non è quindi corretto compiere la mitzwà mettendo il tallìt solo sulle spalle e sul corpo senza compiere la 'atifàt ishma’elìm. Così scrive anche R. Lampronti. E questo è il minhàg (l’uso accettato)26.
A posteriori, se qualcuno ha indossato il tallìt senza essersi avvolto come prescritto, ha ugualmente compiuto la mitzwà27. È importante sottolineare che mettendo il tallìt attorno al collo come una sciarpa, con tutti quattro i tzitziòt che pendono di fronte, senza avvolgerlo
sul capo né coprire le spalle, non si è osservata la mitzwà e la berakhà
è stata recitata invano28. A riprova di quanto menzionato, R. Lampronti
nel Pachad Yitzchàq (s. v. Tzitzìt) scriveva in modo esplicito che “i
viandanti che usano mettere il tallìt arrotolato attorno al collo non
compiono la mitzwà”. È quindi opportuno insegnare a coloro che mettono il tallìt attorno al collo il modo appropriato di indossarlo.
Rav Sa’adià Gaòn spiega che quando si compie la 'atifàt ishm'aelìm si mettono gli tzitziòt sul lato sinistro per proteggerci dai desideri del cuore che, come è noto, è spostato sulla sinistra29. Per lo stesso motivo durante la lettura dello shemà’ del mattino si usa tenere i quattro tzitziòt nella mano sinistra vicino al cuore30.
Lo Shulchàn 'Arùkh (O.C., 24:2) prescrive di coprire il capo con il
tallìt e l’autore del commento Bait Chadàsh aggiunge che è bene
mantenere la testa coperta dal tallìt oltre che dalla kippà per tutta la
durata della tefillà del mattino, dato che in questo modo si controlla il
proprio cuore e lo si induce ad avere timore del Cielo.
Perché la mitzwà è riservata agli uomini
La Ghemarà spiega che la mitzwà dello tzitzìt va osservata di giorno e non la notte31. Trattandosi di una mitzvà prescrittiva limitata nel tempo32, perché la si osserva solo di giorno, e dal momento che le donne sono esenti da questa categoria di mitzwòt, esse non hanno l’obbligo della mitzwà del tzitzìt33. L’esenzione delle donne dall’obbligo di compiere le mitzwòt prescrittive con precisi limiti di tempo non è dovuta a qualche loro mancanza. Infatti a rigore di legge esse sono libere di compiere queste mitzwòt quando lo desiderano.
Rav S.R. Hirsch nel suo commento alla Torà scrive: “L’esenzione
che le donne hanno dall’osservare le mitzwòt prescrittive non può essere attribuita a una condizione d’inferiorità come se la Torà le considerasse indegne di osservare queste mitzwòt. È piuttosto probabile, secondo lanostra opinione, che il motivo per cui la Torà non obbliga le donne a queste mitzwòt è che esse non ne hanno bisogno. Lo scopo delle mitzwòt limitate nel tempo, è di rappresentare, tramite atti pratici, certe verità, idee, principi e risoluzioni e di portare questi valori a nuovo nelle nostre menti di volta in volta, cosicché noi possiamo prenderli a cuore e metterli in pratica. La Torà prende per scontato che la donna abbia grande fervore e fedele entusiasmo per la sua vocazione e che le tentazioni che incontra in questo sfera presentino pochi pericoli. Per questo motivo non era necessario imporre su di lei tutte le mitzwòt che incombono sull’uomo...”34.
Nonostante che a rigor di legge le donne possano volontariamente osservare anche tutte le mitzwòt limitate nel tempo35, vi sono alcune mitzwòt che le donne usano osservare volontariamente, come ad esempio quella della sukkà e del lulàv durante la festa di Sukkòt.
Da tempo immemorabile36 non vi è invece un’usanza simile per la mitzwà dello tzitzìt. Quali sono i motivi?
Sulla base di quanto scrive Rav S. R. Hirsch si può suggerire che
l’uomo, il quale ha una tendenza a distrarsi dalla spiritualità per seguire
le “cose del mondo”, ha bisogno non solo di essere obbligato al
compimento delle mitzwòt, ma ha anche bisogno di uno strumento, lo
tzitzìt, che gli ricordi tale obbligo, come è scritto: “Quando voi lo vedrete, ricorderete tutti i comandamenti dell’Eterno e li eseguirete”. Il ruolo e potenziale di donna viene svolto anch’esso attraverso l’osservanza delle mitzwòt, ma è caratterizzato da una relazione essenzialmente diversa con Ha-Qadòsh Barùkh-Hù e le mitzwòt rispetto all’uomo. Non superiore o inferiore, ma diversa. La donna non ha quindi bisogno né dell’obbligo delle mitzwòt prescrittive temporali, né di uno strumento che le ricordi di compierle, dato che ha una spiritualità molto più immediata e intensa che la porta a essere naturalmente sensibile ai propri obblighi di donna.
Pertanto, si può dire che la donna che indossasse il tzitzìt, inteso come
strumento per ricordare di compiere le mitzwòt, compierebbe un’azione
non solo superflua, ma anche non consona, in antitesi con la propria
essenza di donna.
Il Remà nelle sue glosse allo Shulchàn ‘Arùkh (O.C., 17:2), spiega
che per una donna indossare un abito dotato di tzitzìt si tratterebbe di un comportamento arrogante. Nella pratica la donna che indossasse il tzitzìt si riterrebbe superiore sia alle altre donne di questa generazione, che alle nostre madri e nonne che nei secoli precedenti sono rimaste fedeli alla tradizione e non hanno mai indossato il tallìt. E si arrogherebbe oltre al proprio ruolo anche quello dell’uomo. È forse questa l’arroganza alla quale si riferisce il Remà quando afferma che le donne non devono indossare gli tzitzìot.
Vi sono dei poseqìm che affermano che per le donne indossare il
tallìt non è più considerata una mitzwà che può essere osservata
volontariamente perché oggigiorno, a seguito di tanti secoli di
consuetudine, il tallìt è diventato un abito da uomo. R. Shlomò Zalman
Auerbach scrive in modo esplicito37 "è proibito a una donna indossare i
nostri talitòt perché cosi facendo si trasgredisce la mitzwà «Una donna
non sia vestita con un abito da uomo»"38.
In ultima analisi, trattandosi di un comportamento inappropriato
non può costituire un avvicinamento ad Ha-Qadòsh Barùkh-Hu, quanto piuttosto il contrario39. I nostri Maestri insegnano che fu per il senso di responsabilità delle donne virtuose che compresero che su di esse si basava il futuro del popolo d’Israele che i nostri avi meritarono la
redenzione dalla schiavitù dell’Egitto40. E spiegano i nostri Maestri che
l’uscita dall’Egitto è il prototipo della redenzione finale, possa essa
giungere rapidamente nei nostri giorni.
1 L’obbligo o meno di apporre i tzitziòt su un capo d’abbigliamento che ha
almeno quattro angoli dipende anche da altri fattori, cfr. Shulchàn 'Arùkh, Orach
Chayìm, cap. 9 e 10.
2 Bemidbàr (15:38). Questo versetto e quello che segue fanno parte del terzo
capitolo dello shemà’.
3 Devarìm (22:12). Cfr. Ràmbam, Sefer Ha-Mitzwòt, Mitzwàt 'Assè 14.
4 Bemidbàr (15:39); Shulchàn 'Arùkh, O.C. (8:8).
5 Sefer Mitzwòt Qatàn (28) e anche Sefer Hacharedìm (10: 1).
6 Talmud babilonese, trattato Menachòt (43b) e Mishnà Berurà (O.C.,24: 3, 6).
7 La lettera tzadi ha il valore numerico di 90 e la lettera yud ha il valore
numerico di 10. Esse appaiono due volte nella parola tzitzìt e quindi la somma del loro valore numerico è 200. La lettera taf ha il valore numerico di 400. E il totale è quindi 600. Cfr. Rashi, Bemidbàr (15:39) e Menachòt (43b).
8 Lo tzitzìt contiene una serie di altri riferimenti alla Torà e ad HaQadòsh BarùkhHu. I cinque nodi ricordano i cinque libri della Torà. Il tekhelet, il filo celeste che, quando era disponibile faceva parte del tzitzìt, ha un colore che assomiglia al mare; il mare ha un colore che assomiglia a quello del cielo; il cielo ha un colore che assomiglia al “Trono della Gloria”. Cfr. Menachòt (43b) e Shulchàn 'Arùkh, O. C. (24: 1 e 5).
9 Bemidbàr (15:39).
10 La collera è un comportamento che per via della perdita di controllo può
condurre a commettere i peggiori peccati e per questo i nostri saggi lo paragonano
all’idolatria (T.B., Shabbàt, 105b).
11 Qedushà è separazione ed elevazione del comportamento umano dal
mondo materiale a quello spirituale (Sefer Ha-Karmel, p. 297). Il termine è difficilmente traducibile in italiano. Alfonso Pacifici a questo proposito scriveva: “La parola stessa italiana santo con cui abitualmente si rende la dizione ebraica kadosh [...] non corrisponde [ad essa] né punto né poco”.
12 A. Ibn ‘Ezra, (Bemidbàr, 15:39).
13 Biùr Ha-Gra, S.S., O.C. (24, alef).
14 Cfr. R. David Zacut Modena in Zekher David, Maamàr Rishón (cap. 15, p.
450) che cita lo Zohar in relazione all’importanza di indossare il tallít gadòl e il tallít
qatàn. Cfr. anche Pachad Yitzchàq di R. Lampronti, s.v. Tallít.
15 Iggheròt Moshè (4:4). Sulla mancanza di non osservare la mitzwà delo tzitzìt
cfr. T.B. Menachòt (41a) e Shulchàn 'Arùkh, O. C. (24: 6).
16 Sha'arei Teshuvà allo Shulchàn 'Arùkh (O.C.,17:3) che cita Eliyahu Rabbà a
nome del Sefer Yereìm.
17 Cfr. Shulchàn 'Arùkh, O.C., Remà (17:3), Baer Hetev e Mishnà Berurà in loco.
18 Shulchàn 'Arùkh, O.C. (24:1).
19 Bemidbàr (15:37-41).
20 Zòhar Shelàch Lekhà (p. 174) citato anche da Mishnà Berurà (24:1, 3).
21 Mishnà Berurà (8: 3 e 4). Anche Pisqè Teshuvà (8, note 66-67) e Yalqùt
Yosèf, Hilkhòt Tzitzìt (1).
22 Shulchàn 'Arùkh, O.C. (8:3). Gli ashkenaziti usano recitare i versetti: "Ma
yaqar…" (Tehillìm, 36: 8-11).
23 Shulchàn 'Arùkh, O.C. (8:4).
24 S.A., O.C. (21:4) e Pachad Yitzchàq (s.v. Tzitzìt).
25 Devarìm (22:12). Cfr. Rambam, Sefer Ha-Mitzwòt, Mitzwàt 'Assè 14.
26 Mishnà Berurà (8:3:4) e Pachad Yitzchàq (s.v. Tzitìt).
27 Shulchàn 'Arùkh, O.C., Mishnà Berurà (8:2:3).
28 Mishnà Berurà (10:12:37).
29 Citato da R. David Ben Zimrà, Responsi (3:571).
30 ‘Arùkh Ha-Shulchàn (24:3-4).
31 È scritto “lo guarderete”, che è un’attività collegata alla luce del giorno
(Menachòt, 43a; Shulchàn 'Arùkh, O.C., 18:1).
32 Ovvero costituita dal compimento di un’azione positiva. “Mitzwàt ‘assè she
ha-zman grama” secondo il termine utilizzato dalla Ghemarà.
33 Qiddushìn (34a), Shulchàn 'Arùkh, O. C. (17: 1 e 2) e Mishnà Berurà in loco.
Va notato che le donne sono tenute a rispettare tutte le mitzwòt proscrittive (per
esempio “non rubare”); quelle prescrittive senza limitazioni di tempo (per esempio
quella di apporre la mezuzà) e alcune mitzwòt prescrittive anche se limitate nel tempo quali ad esempio il kiddùsh dello Shabbàt (anche se è uso che il marito lo reciti per conto dell’intera famiglia) e la mitzwà di mangiare la matzà la sera del seder di Pesach.
34 Commento alla Torà di Rav S. R. Hirsch, Wayiqrà (23, 43).
35 Il Rambam afferma (Tzitzìt, 3:9) che alle donne che desiderano avvolgersi nel
nel tzitzìt è permesso farlo purché non recitino le berakhòt. L’autore del commento
Magghìd Mishhè spiega che non si può dire we-tzivanu” (che ci hai comandati) se si è esenti dall’obbligo. E così usano i sefarditi. Il tosafista francese Rabbenu Tam sostiene invece che si riceve una ricompensa se si compie una mitzwà anche senza esservi comandati, e pertanto è permesso recitare la berakhà (T.B. Qiddushin, 31a, “Lo mifqadana). E così usano gli ashkenaziti. Cfr. Shulchàn 'Arùkh, O.C. (589:6) e glosse del Remà.
36 Da notare la traduzione aramaica del Targum Yonatan di oltre mille anni fa
nella quale il versetto “Una donna non sia vestita con un abito da uomo” è tradotto con le parole “Non vi sia un vestimento, tzitzìt e tefillìn, che sono indossati da uomini su una donna”.
37 Halikhòt Shlomò, Tefillà (3:18, nota 27).
38 Devarìm (22:5).
39 In un articolo su questo argomento pubblicato in Bet Yitzchaq (5774, pp.59-
63) R. Hershel Schachter, Rosh Yeshivà alla Yeshivat Yitzchak Elchanan e decisore
halakhico della Orthodox Union, scrive che il comportamento di donne che indossano il tallìt e i tefillìn al giorno d’oggi lo si trova solo presso i Conservatives, che non hanno alcun rispetto per la Halakhà e che le decisioni halakhiche non vengono fatte nel vuoto ma nel contesto di ogni generazione. E conclude affermando che “Nella nostra generazione tutti i Tannaìm e tutti i Rishonìm e tutti gli Acharonìm sarebbero d’accordoche questo comportamento va assolutamente evitato”.
40 T.B., Sotà (11b).
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