Sulle conversioni dei bambini
di Donato Grosser
Introduzione
Quando un gher (un proselita) o una ghiyòret (una proselita) si rivolgono a un bet din (tribunale rabbinico) per diventare ebrei,i dayanìm (giudici) domandano loro se hanno motivi ulteriori per il ghiyùr (conversione) come, per esempio, quello di sposare un ebreo o un’ebrea o se desiderano convertirsi per interessi economici. Se viene appurato che la persona non ha motivi ulteriori e vuole diventare ebreo o ebrea per amore della Torà la sua richiesta viene accolta positivamente.
Per diventare ebreo, il proselita, se uomo, deve fare la milà (circoncisione), la tevilà (immersione nel bagno rituale) e accettare e impegnarsi a osservare tutte le mitzwòt (precetti) della Torà di fronte a un bet din. Nel caso di una donna è necessaria la tevilà e l’accettazione delle mitzwòt1.
A posteriori, quando il gher ha fatto milà e tevilà e ha accettato formalmente le mitzwòt davanti al bet din, il ghiyur è valido anche se c'erano interessi ulteriori. Il motivo è spiegato da rav Yom Tov di Siviglia (Ritvà) e da rav Yosèf Chavivà (Nimmuqè Yosef, T.B., Yevamòt 24a): "Agav onsayhu gamrù wekiblù", che significa che per via della costrizione (ònes) sociale, anche se il ghiyùr era stato fatto per motivi di interesse, a posteriori sappiamo che questi gherìm hanno ugualmente accettato le mitzwòt.
Infatti nella società ebraica fino a due secoli fa, quando un proselita si convertiva doveva adeguarsi allo stile di vita dellasocietà ebraica e quindi era praticamente costretto a osservare le mitzwòt. Un gher non osservante non sarebbe stato tollerato dagli ebrei né avrebbe ricevuto molto simpatia dalla società da cui era venuto. La pressione sociale otteneva quindi il risultato necessario dell'accettazione delle mitzwòt.
Al giorno d’oggi non esiste più la pressione sociale menzionata da rav Yom Tov e da rav Yosèf Chavivà. Per questo motivo è sorta tutta una serie di problemi nuovi riguardo alle conversioni motivate da interessi ulteriori.
Rav Yizchàq Herzog, che fu il primo Rav Rashì (Rabbino capo) dello Stato d’Israele, trattò questo problema in decine di responsi. In uno di questi responsi concluse che bisognava evitare di accettare persone che si volevano convertire a scopo matrimoniale o per altri interessi perché oggi non esiste più una pressione sociale ad osservare le mitzwòt e pertanto "... il ghiyùr di proseliti del genere è dubbio" (Hekhàl Yizchàq, 1:21).
Prima di rav Herzog si era occupato del problema anche rav Chayyìm ‘Ozer Grodzensky di Vilna, il più autorevole posèq (decisore halakhico) lituano tra le due guerre. Secondo rav Grodzensky, in casi del genere, a meno che non ci sia un "Umdanà de-mukhàch" ossia "un'evidenza provante" che il proselita non accetta le mitzwòt, il ghiyùr è valido perché "devarìm she-ba-lev enàm devarìm", cioè le intenzioni della persona non hanno valore legale.
Rimaneva il fatto che entravano nella società ebraica dei gherìm che poi non osservavano le mitzwòt. Per questo motivo il succitato rav Grodzensky scriveva che "..un bet din rispettabile non ha da occuparsi di conversioni di questo tipo" (Responsa Achièzer, 3:28).
Le conversioni dei bambini
La questione delle conversioni dei bambini, discussa nel Talmùd babilonese (Ketubbòt, 11a), presenta una problematica aggiuntiva. L'accettazione di tutte le mitzwòt è condizione sine qua non affinché la conversione di un adulto sia valida.
Un minore2 non ha dà’at (capacità legale di capire e di consentire) e quindi le sue azioni non hanno valore legale. Per questo motivo la Ghemarà domanda implicitamente come sia possibile che un bambino o una bambina possano diventare ebrei. A questa domanda risponde rav Huna, uno degli Amoraìm (Maestri del Talmùd) babilonesi, che afferma che la conversione di un minore è possibile perché "gher qatàn matbilìn otò al dà’at bet din", ovvero in mancanza del padre a un minore viene fatta la tevilà (per i maschi anche la milà) sulla base dell'opinione del bet din. Questo significa che anche senza il consenso del minore il bet din può prendere decisioni che sono nel suo interesse3.
Lo Shulchàn ‘Arùkh (Yorè Deà, 268:7) codifica la regola nel modo seguente:
Il padre può portare a convertire un (figlio o una figlia) non ebrei di età minore; se non vi è padre e (un non ebreo di età minore) viene a farsi convertire, oppure se è la madre che lo porta per farlo convertire, il bet din lo può accettare per la conversione perché (diventare ebreo) è per lui (o per lei) uno zekhùt (un privilegio, un vantaggio, un beneficio) e (anche in questo caso vale la regola che) si può dare uno zekhùt a una persona anche se questa persona non è presente. Un figlio di età minore, che è stato fatto convertire dal padre o che è stato convertito dal bet din, può (tuttavia) protestare (limchòt) quando raggiunge la maggiore età e ritornare allo stato giuridico di non ebreo senza essere considerato un mumàr (apostata).
Il concetto di zekhùt
Il concetto di zekhùt (privilegio, vantaggio, beneficio) richiede una spiegazione. I Maestri insegnano che in condizioni normali una persona non può agire per conto di un’altra persona se non è stato incaricato. Una persona può però agire per conto di un’altra a sua insaputa nel caso in cui apporti un beneficio evidente al beneficiario. Infatti in tal caso si presume che il beneficiario sarebbe certamente stato d’accordo.
Il Talmùd esprime questo concetto con "Zakìn leadàm shelò befanàw": si può dare uno zekhùt, cioè apportare un beneficio, a una persona anche se tale persona è assente. Un minore, dal momento che non ha dà’at (capacità di capire e di consentire), è considerato assente4.
Questo concetto è tuttavia limitato ai casi in cui il beneficio è totale (nel linguaggio dei posqìm: zekhùt gamùr) e non comporta nessuno svantaggio, per cui è evidente che il beneficiario non lo avrebbe rifiutato. Nel caso della conversione di un minore il beneficio di essere ebreo è quello di ricevere la ricompensa divina per l’osservanza delle mitzwòt. Le restrizioni alimentari e quelle imposte da altre mitzwòt che limitano certi godimenti fisici che possono essere un sacrificio per un adulto, non sono considerate un sacrificio per un bambino che non ha ancora avuto la possibilità di goderli. Pertanto la conversione è un beneficio che non presenta lati negativi.
Nell'esempio del Talmùd, un bambino che si rivolge al bet din viene convertito "al dà’at bet din", ossia sulla base dell’opinione del tribunale. Se sono i genitori non ebrei che portano il bambino e che si convertono con il bambino, il beneficio che deriva al bambino è chiaro perché generalmente i figli vogliono seguire i genitori. Se dei genitori non ebrei vogliono che il bambino diventi ebreo, benché essi non desiderino convertirsi5, il bet din diventa responsabile dell'educazione del bambino al posto dei genitori 6.
Il diritto di obiettare alla conversione (Mechaà)
Quando un bambino o una bambina che sono stati convertiti da piccoli arrivano alla maggiore età7, bisogna dire loro che, se lo desiderano, possono rifiutare il beneficio che è stato loro conferito e possono tornare allo stato giuridico di non ebrei senza alcuna conseguenza negativa nei loro confronti. Se al passaggio di età non pongono obiezioni alla conversione, questo comportamento viene considerato come accettazione definitiva delle mitzwòt e successivamente non hanno altre possibilità di obiettare.
Il diritto di obiettare pone un problema. Se un bambino o una bambina raggiungendo la maggiore età hanno il diritto di ritornare allo stato giuridico di non ebreo senza alcuna conseguenza negativa nei loro confronti, come facciamo a considerarli ebrei a tutti gli effetti prima della maggiore età?
La risposta dei Rishonìm (i posqìm dall’XI al XV secolo) è che non si teme che un bambino o una bambina vogliano tornare allo stato giuridico di non ebrei perché dopo essere stati educati all’osservanza delle mitzwòt fino alla maggiore età, esiste una chazaqà (presunzione) che desiderino continuare a vivere nello stesso modo8.
Il problema dello zekhùt nella società moderna
La conversione di un minore è quindi valida anche senza il suo consenso perché diventare ebrei è considerato un beneficio che non verrebbe rifiutato.
Alcuni importanti posqìm affermano tuttavia che nella società di oggi non è così chiaro che esista uno zekhùt che permette di convertire un minore. Pertanto la base legale sulla quale trova supporto la conversione dei minori viene messa in dubbio. Oltre che nei casi di figli di matrimoni misti, nei quali il padre è ebreo e la madre non è ebrea (e quindi i figli sono considerati non ebrei come la madre), la questione è rilevante anche nei casi di adozioni, quando i bambini provengono da madre non ebrea 9.
Su questo argomento rav Yechièl Ya’aqòv Weinberg di Montreux in un responso del 1949 scrisse quanto segue (Resp. Seridè Esh, Y.D., 61):
Questo argomento è già stato trattato dai nostri grandi Maestri della generazione precedente. E tutti hanno insegnato che oggi, per varie ragioni, non bisogna convertire un minore perfino se i suoi genitori lo desiderano. ... La ragione principale è che al giorno d’oggi il minore che viene convertito non ne trae alcun beneficio (zekhùt), specialmente se cresce con genitori che non osservano Torà e mitzwòt, per cui anche il bimbo non osserverà le mitzwòt alle quali è diventato obbligato a seguito della conversione. Pertanto questa conversione non solo non porta alcun beneficio (zekhùt) ma anzi lo penalizza ed è proibito causare degli svantaggi (chov) a qualsiasi persona anche se non ebreo. Inoltre dal momento che una conversione penalizzante non è valida, il minore non è affatto convertito e questo causerà problemi inimmaginabili perché verrà considerato ebreo dagli altri e lui stesso si considererà ebreo.
Rav ‘Ovadyà Yosèf in un responso del 1948, scritto quando era Rav al Cairo, tratta il caso di un kohèn che aveva avuto dei figli dalla moglie non ebrea. Il marito si era rivolto al bet din con la richiesta di convertire i bambini. Rav Yosèf rispose10:
In teoria (me-‘iqqàr ha-halakhà) è permesso accettare questi bambini per la conversione a condizione che la madre acconsenta di sua libera volontà ed ella stessa porti i bambini per la conversione. È bene farle firmare un documento (nel quale la madre afferma) che acconsente (al ghiyùr dei bambini) di sua volontà senza nessuna pressione esterna. Questo a norma di regola; però quando il bet din si rende conto che c’è da temere che i bambini quando cresceranno profaneranno lo Shabbàt e i Mo’adim, è appropriato non fare il ghiyùr. E se (il bet din) ha contravvenuto e li ha accettati, a posteriori la conversione è valida.
Rav Moshè Feinstein tratta l’argomento della conversione dei bambini in diversi responsi, sia riguardo a figli di padre ebreo e di madre non ebrea, sia nel caso di bambini non ebrei adottati da coniugi ebrei11.
In un responso del 1941 rav Feinstein esprime dei dubbi sulla questione dello zekhùt del bambino. Da una parte afferma che negli Stati Uniti non è chiaro che vi sia uno zekhùt a un bambino non ebreo che viene convertito perché è molto probabile che non osserverà lo Shabbàt e altre mitzwòt. D’altra parte è possibile che la conversione sia uno zekhùt perché è meglio essere ebreo trasgressore che non ebreo. Inoltre per un bambino la conversione è un beneficio quando è il padre naturale che lo fa convertire12 specialmente se anche la madre si converte con lui13.
Riguardo a questa seconda opinione rav Feinstein menziona un responso di rav Moshè Schreiber (Chatàm Sofèr) di Pressburg nel quale quest’ultimo sostenne che quando sono entrambi i genitori che portano il bambino per il ghiyùr, quest’ultimo nel raggiungere la maggiore età non può obiettare14.
Nel caso di bambini non ebrei adottati da una coppia di ebrei, il bambino (o la bambina) ha il diritto di obiettare alla conversione quando raggiunge l’età del bar mitzwà o del bat mitzwà. In ogni modo rav Feinstein consiglia di non adottare bambini non ebrei e di accettare gherìm solo quando desiderano diventare ebrei di propria volontà15.
Lo stesso rav Feinstein, nel caso di bambini, figli di padre ebreo e di madre la cui conversione non era valida (perché fatta da reform e conservatives), che studiavano in una scuola ebraica nella quale tutti i maestri erano osservanti, permise di fare il ghiyùr ‘al dà’at bet din. Il motivo era che in questi casi la conversione poteva essere uno zekhùt per i bambini in quanto studiando in una scuola dove gli insegnanti erano osservanti esisteva una buona probabilità che diventassero anch’essi osservanti delle mitzwòt. E inoltre menzionò nuovamente che è uno zekhùt essere ebreo anche se non osservante piuttosto che non ebreo16.
Nel 1989 fu chiesto a rav Shalom Elyashiv se era permesso convertire un bambino nel caso in cui la famiglia adottiva non osservasse le mitzwòt. L’autore del quesito chiedeva una risposta definitiva citando i responsi apparentemente contrastanti di rav Yechiel Weinberg e di rav Moshè Feinstein sull’argomento17.
Rav Elyashiv rispose che è meglio che un bambino rimanga non ebreo piuttosto che venga convertito e che trasgredisca molte mitzwòt perché i genitori adottivi non sono osservanti18. Sottolineò che il ghiyùr non è un beneficio (zekhùt) per un bambino che probabilmente non osserverà le mitzwòt. Inoltre citò un secondo motivo che invalida una conversione: quando il bambino osserva le mitzwòt, esiste una chazaqà (presunzione) che al raggiungimento della maggiore età continuerà ad osservare le mitzwòt e non porrà obiezioni alla conversione fatta senza il suo consenso quando era piccolo; se invece è cresciuto senza osservare le mitzwòt, la chazaqà non esiste e quindi lo stato giuridico di proselita è inficiato.
Un'opinione simile a quella di rav Elyashiv era stata espressa anche da rav Yitzchàq Weiss di Manchester (Minchàt Yitzchàq, III:99) in un responso riguardante l’adozione di bambini di madre non ebrea.
Rav Weiss afferma che secondo l'opinione delle Tosafòt (Sanhedrin 68b) la condizione più importante nel ghiyùr è l'accettazione delle mitzwòt e dal momento che un minore non può accettare le mitzwòt, l'accettazione avviene quando raggiunge la maggiore età e non obietta. Questo vale però solo se si è comportato da ebreo (e ha quindi osservato le mitzwòt) fino al raggiungimento della maggiore età; se invece non si è comportato da ebreo manca la necessaria accettazione delle mitzwòt e quindi il ghiyùr non ha validità.
Inoltre se i genitori adottivi (o naturali quando la madre non è ebrea) non si comportano come si deve (cioè non osservano le mitzwòt), perfino se dopo aver raggiunto la maggiore età il bambino osserva le mitzwòt e non ha obiettato, dal momento che il ghiyùr non era valido a suo tempo, perché non c'era zekhùt al momento della conversione, il bambino necessita un altro ghiyùr. In conclusione rav Weiss raccomanda che è meglio non entrare in problematiche di questo tipo ed a priori è opportuno non adottare bambini non ebrei.
Riguardo alla questione delle adozioni, rav Eliyàhu Henkin, uno dei più autorevoli poskìm russi immigrati in America tra le due guerre, scrisse:
al giorno d'oggi e in questo paese la questione è molto grave perché la maggior parte [degli ebrei] non osserva le mitzwòt e quindi (il bambino) non ha zekhùt e perfino se i genitori adottivi che lo educano sono osservanti la cosa non è una garanzia. Inoltre quando il bambino diventa adulto e viene a sapere che è nato da dei non ebrei è possibile che ritorni all’origine (le-surò). E se non viene notificato di questo fatto la conversione è dubbia perché è chiaro che la conversione viene completata quando è a conoscenza della sua origine e accetta le mitzwòt. Anche se non sono necessarie cerimonie di fronte a un bet din, dal momento che si comporta da ebreo come si deve, in ogni caso la conoscenza (della sua origine) è certamente necessaria.
Rav Henkin aggiunge che il bet din funge da "agente del popolo ebraico (sheluchìm shel klal Israel) per far entrare uno straniero nel popolo ebraico e deve verificare che (questo atto) non sia dannoso a klal Israel"19.
Rav Feivel Cohen di Brooklyn, concordando con rav Elyashiv, afferma che lo zekhùt di diventare ebreo esiste solo quando il bambino osserverà le mitzwòt. Se i genitori che lo accompagnano dal bet din per farlo diventare gher non osservano né sono interessati ad osservare le mitzwòt, il bambino non ha alcuno zekhùt nel ghiyùr, anzi la cosa è uno svantaggio perché diventerà un ebreo trasgressore. Secondo rav Cohen se il beneficio non è evidente (zekhùt gamùr) al momento del ghiyùr, il ghiyùr (conversione) non deve essere fatto e se viene fatto non è valido neppure a posteriori.
Nel 1982 in un articolo in inglese sull'argomento di rav Melech Schechter, l'autore riporta anche altre opinioni al riguardo e conclude:
Se i genitori adottivi non sono osservanti non vi è conversione sulla base di uno zekhùt perché in effetti la conversione diventa un grande svantaggio20.
Conclusione
Nella questione del ghiyùr di un minore, se i genitori non sono osservanti, mancando i presupposti per presumere che vi sia zekhùt per il bambino, mancano le condizioni per la conversione.
Per riassumere quanto scritto sopra, nei casi in cui i genitori naturali o adottivi del bambino non siano osservanti:
Rav ‘Ovadyà Yosef afferma che a priori il ghiyùr non deve essere fatto. Se però il bet din ha contravvenuto, a posteriori il ghiyùr è valido.
Rav Moshè Feinstein sostiene che in certi casi il ghiyùr può essere fatto se c'è la possibilità che i bambini diventino osservanti e che è un zekhùt essere ebreo anche se non osservante piuttosto che essere non ebreo.
Per rav Henkin, rav Weinberg, rav Weiss, rav Elyashiv e rav Cohen, se non vi è uno zekhùt evidente al momento della conversione, il ghiyùr non è valido neppure a posteriori.
Da queste decisioni halakhiche è apparente che le condizioni che giustificano i ghiyurìm di bambini di madre non ebrea esistono raramente e che queste regole non sono affatto semplici e richiedono molto studio e ponderazione.
NOTE:
____________________________________________________
1 L’argomento delle conversioni è trattata nel Talmùd Yevamòt e codificata nello Shulchàn ‘Arùkh (Yorè De’à, 268).
2 Secondo il Meiri (Ketubbòt, 11a) si tratta di un bambino troppo piccolo per capire quando gli si danno informazioni sulle principali mitzwòt. Secondo questa opinione per un non ebreo la maggiore età non dipende dalla pubertà ma dalla capacità di comprensione.
3 Rav Yesha’yàhu da Trani nelle sue Tosafòt porta l’esempio di un trovatello non ebreo o di un bambino “filisteo” preso prigioniero che vengono circoncisi e immersi nel miqwè e che sono considerati ebrei a tutti gli effetti.
4 Meiri, Ketubbòt, 11a.
5 Da queste regole è apparente che al tempo dei Maestri della Mishnà e del Talmùd c'erano dei non ebrei che vivendo in Eretz Israel dove la maggioranza era ebraica, desideravano che i figli fossero educati da ebrei anche se non volevano diventare loro stessi gherìm, forse perché essendo abituati al lor modo di vita pensavano che sarebbe stato per loro troppo difficile osservare tutte le mitzwòt.
6 Meiri, ibid.
7 Cioè all’età di 12 anni per una femmina e 13 anni per un maschio.
8 Shità Mekubètzet, Ketubbòt, 11a.
9 Alcuni anni fa, in America fu pubblicato un libro dal titolo The Bamboo Cradle (La culla di bambù). È la storia, narrata dal padre, di una famiglia di accademici ebrei senza bambini che, a Taiwan per studi, trovarono un bebè sui gradini di una stazione ferroviaria. Dopo alcune settimane riuscirono ad adottare la bambina e a portarla in America. La questione del ghiyùr della bambina venne alla luce quando i genitori adottivi si resero conto che il fatto di non essere osservanti avrebbe messo in dubbio la conversione della bambina. Si misero a studiare e pian piano cominciarono a fare kashèr la loro casa. Cfr. Schwartzbaum, Avraham, The Bamboo Cradle (New York, Feldheim Publishers, 1988).
10 Yabia’ Òmer, Èven Ha-‘Èzer, 2:4, pp. 216-219.
11 Iggheròt Moshè, Yorè De’à, I:158, 161, 162; Y.D. II:126; Èven Ha- ‘Èzer, IV:26.
12 Perché il figlio è d’accordo con quello che il padre fa per lui (nichà le be-mai de’avid aviw).
13 Iggheròt Moshè, Y.D., I:158.
14 Responsi Chatàm Sofèr, Y.D. 253.
15 Iggheròt Moshè, Y.D., I:162.
16 Iggheròt Moshè, Èven Ha-‘Èzer, IV:26.
17 Qol Hatorà, Chovèret 26, lettera a rav Yosef Yehoshuà’ Appel. Rav Weinberg
sosteneva che non esistendo zekhut la conversione non era valida, mentre secondo rav Feinstein anche se la conversione a priori non andava fatta, a posteriori poteva essere valida.
18 A questo proposito cita come prova la Yad Ha-Chazaqà del Rambam Hilkhòt Shegagòt, II:6.
19 Kitvè Harav Henkin, N. 62, 5718-1958.
20 Melech Schacter, Various Aspects of Adoption, Journal of Halacha and Contemporary Society IV, 1982, p. 103.
Comments