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SUL SIGNIFICATO DELLA SERA DEL SÈDER



Menachem Genack

La sera del Sèder di Pèsach è caratterizzata da tre temi: l’accettazione della sovranità divina, la trasmissione della Messorà (della nostra tradizione) e la dinamica e la forza creativa della Torà she-be-‘al-pè (l’insegnamento orale).

Il Rav espresse questi temi in molte occasioni durante la sua vita dedicata all’insegnamento. Egli ci insegnò che lo studio della Torà è la via principale per l’accettazione della sovranità divina. Grazie a nuovi approfondimenti e a nuovi approcci allo studio della Torà, il Rav fece sì che la Torà continuasse ad essere una fonte di vita per generazioni di discepoli, che in questo modo riuscirono a sentire la connessione eterna che ogni ebreo ha con la Torà e a rendere possibile la trasmissione della Messorà.

Il Rav spiegò che Moshè è chiamato Safrà Rabbà de-Israel, il grande Maestro d’Israele, non solo perché scrisse la Torà su pergamena, ma perché riuscì a inculcare le parole della Torà nei cuori e nelle menti del popolo ebraico.

Nella Haggadà è scritto che anche se fossimo dei sapienti saremmo ugualmente obbligati a raccontare la storia dell’uscita dall’Egitto e che dobbiamo vedere noi stessi come se ci trovassimo a rivivere l’esperienza dei grandi eventi dell’Esodo.

Il Maimonide ripete questi concetti quando tratta la mitzwà dello Haqhèl, che richiedeva che tutto il popolo d’Israele venisse a Gerusalemme una volta ogni sette anni ad ascoltare il Re d’Israele che leggeva loro la Torà.

Così scrive il Maimonide: “Perfino i proseliti che sono poco familiari con il linguaggio dello Haqhèl sono obbligati a prestare attenzione e ad ascoltare, con timore e riverenza, con gioia e con trepidazione, come nel giorno in cui (la Torà) ci fu data al monte Sinai”. Perfino dei grandi sapienti che conoscono tutta la Torà devono ascoltare con intensa concentrazione, “...perché la Torà ci ha ordinato di osservare la mitzwà dello Haqhèl per rafforzare la legge della verità e dobbiamo vedere noi stessi come se avessimo ricevuto proprio ora il comando e lo stiamo ascoltando dalla Forza Suprema, perché il Re è incaricato di trasmettere le parole del Signore”.

Il testo centrale della Haggadà è la spiegazione della parashà che inizia con le parole Aramì Ovèd Avì, mio padre era un arameo errante (Devarìm, 26:5-11), che è la dichiarazione che faceva ogni proprietario terriero che veniva a Yerushalaim tra le feste di Shavuòt e di Sukkòt

per portare i bikkurìm, le primizie offerte all’Eterno che venivano presentate ai Kohanìm.

Nelle sue lezioni il Rav domandò per quale motivo proprio questi versetti della Torà, che trattano così in breve dell’uscita dall’Egitto, furono scelti come parte essenziale della Haggadà; e perché non furono scelte altre parashòt all’inizio del sèfer Shemòt dove la narrativa degli eventi dell’Esodo è molto più dettagliata.

La sua spiegazione sottolinea un aspetto fondamentale della mitzwà di raccontare la storia dell’uscita dall’Egitto. L’obbligo di raccontare la storia dell’uscita dall’Egitto durante la notte del Sèder di Pèsach è molto di più di una ripetizione della cronaca di un evento storico: il racconto della storia dell’uscita dall’Egitto deve intrinsecamente includere la mitzwà dello studio della Torà.

Quando la Mishnà (Pesachìm, 10:4) vuole insegnarci che nella Haggadà bisogna includere la parashà che inizia con “Aramì Ovèd Avì”, usa le parole “we dorèsh”. L’espressione “we dorèsh” significa che dobbiamo approfondire lo studio della Torà, spiegando il testo usando i metodi esegetici tramandati dai Maestri per estrarre dei dettagli che non sono immediatamente evidenti dalla prima lettura del testo.

Pertanto una lettura superficiale del racconto dell’uscita dall’Egitto dall’inizio del libro dell’Esodo non è sufficiente; i nostri Maestri scelsero di proposito la parashà di “Aramì Ovèd Avì” come il testo centrale della Haggadà perché presenta una descrizione succinta dell’uscita dall’Egitto e offre la possibilità di studiarla e di approfondirla.

Quando durante il Sèder rispondiamo alla domanda del figlio saggio, la Haggadà prescrive che “gli devi anche dire le halakhòt di Pèsach”. Questo significa che è nostro dovere insegnare al figlio saggio tutte le mitzwòt del Sèder nel corso della serata. La notte del Sèder non serve solo a riportare la cronaca di un evento storico; bisogna anche approfondirsi nello studio della Torà trattando le mitzwòt di Pèsach così come insegnate in dettaglio nella Torà orale.

Gli insegnamenti del Rav sottolineavano la centralità dello studio della Torà per la notte del Sèder. Tuttavia rimane da domandarsi: perché lo studio della Torà è parte così integrale di questa notte? Una risposta a questa domanda la si può trarre dai commenti del Rav relativi alla mitzwà della recitazione dello Shemà’, la cui quintessenza è la qabbalàt malkhùt shamàyim, ossia l’accettazione del giogo divino.

Il Maimonide spiega che quando leggiamo le tre parashòt dello Shemà’, iniziamo con la parashà che inizia con Shemà’ Israel (Ascolta o Israele) e non con quelle che iniziano con We-haya ‘im shamòa’ o con Wayòmer. Il motivo per il quale cominciamo con Shemà’ Israel è che questa parashà insegna tre principi fondamentali dai quali dipende tutto il resto: l’unicità del Creatore (il Signore è unico), l’amore per il Creatore (E amerai il Signore tuo D. Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua persona e con tutte le tue forze...) e lo studio della Torà (E le parole che io ti comando oggi saranno sul tuo cuore e le ripeterai ai tuoi figli e parlerai di esse quando risiederai a casa, quando andrai per strada, quando ti coricherai e quando ti alzerai).

Anche se la lettura dello Shemà’ è una mitzwà indipendente, deve intrinsecamente includere lo studio della Torà perchè senza questo studio vi è una mancanza nell’accettazione del giogo divino.

La nostra visione del mondo è definita dallo studio della Torà che ci offre un modo per vedere uno sprazzo dell’infinito insegnamento del Creatore. Il fatto che lo studio della Torà sia una componente intrinseca della mitzwà della lettura dello Shemà’, è anche dimostrato dal fatto che la berakhà (la benedizione) Ahavà Rabbà, che diciamo prima della lettura dello Shemà’, serve anche come berakhà prima dello studio della Torà. Infatti chi si è dimenticato di recitare la berakhà che si dice prima dello studio della Torà può uscire d’obbligo recitando Ahavà Rabbà.

In modo simile, spiegò il Rav, troviamo una speciale benedizione per lo studio della Torà anche nella Haggadà e cioè “Barùkh ha-Maqòm Barùkh hu”. La notte del Sèder è parallela alla mitzwà della recitazione dello Shemà’ nel senso che entrambe le mitzwòt sono un’espressione dell’accettazione del giogo divino che deve derivare dal cosciente studio della Torà.

Un altro elemento essenziale dello Shemà’ consiste nel ricordare l’uscita dall’Egitto nella terza parashà della Qeriyàt Shemà’. È interessante notare che il nonno del Rav, rav Chayim Soloveitchik, sottolineò che nonostante sia mitzwà menzionare l’uscita dall’Egitto nella lettura dello Shemà’, il Maimonide non la include nel conteggio delle seicentotredici mitzwòt della Torà.

Egli spiegò che il Maimonide omette la mitzwà di menzionare ogni giorno l’uscita dall’Egitto dal conteggio delle mitzwòt perché essa non è una mitzwà indipendente, bensì è inclusa nella mitzwà della lettura dello Shemà’. Infatti ricordare l’uscita dall’Egitto è parte essenziale della lettura dello Shemà’ perché l’accettazione del giogo divino include la nostra fiducia nel Creatore che è intimamente coinvolto nella storia e negli eventi umani.

Questo è il motivo per cui la mitzwà di sapere dell’esistenza del Creatore è formulata con la frase “Io sono il Signore tuo D. che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto” (Devarìm, 5:6). In questo modo noi affermiamo la nostra fiducia nel Creatore che si cura della Sua creazione e dell’umanità. Questo è il principio per cui si deve ricordare l’uscita dall’Egitto.

Durante la notte di Pèsach il popolo d’Israele accettò il Signore come Colui che sarebbe stato coinvolto in ogni aspetto della loro vita. Le parole della Haggadà “Io e non un angelo, Io e non un serafino, Io e non un messaggero” vogliono insegnare che la redenzione dall’Egitto fu ottenuta dalla rivelazione divina e dal Suo diretto intervento nella storia; e questa rivelazione divina è la vera base della conoscenza e della fiducia che gli ebrei hanno in relazione al Creatore. Lo studio della Torà è parte integrale della notte del Sèder perché sia la Torà orale, sia la Haggadà sono esperienze sempre nuove nelle quali l’intera personalità si identifica e si integra nell’esperienza. La notte del Sèder non è quindi la ripetizione della storia di un evento che ebbe luogo nei tempi antichi, ma un rivivere lo stesso evento.

Questo concetto, così spiegò il Rav, è implicito nel termine Haggadà, come si può imparare anche dall’espressione Haggadàt ‘Edùt, ossia la dichiarazione di una testimonianza. Una testimonianza indiretta non è ammissibile come evidenza; per questo la Haggadà sottolinea che “in ogni generazione siamo obbligati a vedere noi stessi come se fossimo usciti dall’Egitto”. È quindi evidente che la mitzwà di raccontare la storia dell’Esodo non può essere una semplice cronaca di un evento storico. Deve invece essere una testimonianza in prima persona, un riconoscimento di un evento che fa parte dell’esperienza di colui che testimonia.

L’ebreo che portava le primizie al Bet ha-Miqdàsh a Gerusalemme apprezzava la contentezza e la tranquillità di cui godeva. Con tutto ciò questo ebreo doveva per un momento impersonarsi in uno schiavo d’Egitto e dichiarare: “Gli egiziani ci afflissero e noi alzammo un grido”, pregando che il Signore ci aiutasse, “ed Egli ci trasse fuori ... e ci condusse in questo luogo”.

Con questa dichiarazione fatta in prima persona, l’ebreo che veniva a Gerusalemme per portare le primizie nel Bet haMiqdàsh riviveva gli eventi dell’Esodo. La dichiarazione che si fa quando si portano le primizie è quindi appropriata come parte centrale della Haggadà perché sia l’ebreo che porta le primizie, sia l’ebreo durante la notte del Sèder sono obbligati a rivivere l’esperienza dell’Esodo. Il senso di immediatezza e di rilevanza è un aspetto fondamentale dello studio della Torà ed è questo che il Rav voleva che ricreassimo durante il Sèder.

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