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Sukkòt - Gli ospiti

DAL LIBRO ''PERLE DI TORÁ'' DI RAV IMMANUEL PIAZZA



A Sukkòt riceviamo un grande regalo. Quando siamo seduti nella sukkà, sotto la protezione della Presenza Divina, vengono nella nostra sukkà gli "ushpizìn", in italiano letteralmente "gli Ospiti". Essi sono i sette fedeli "pastori" del popolo d'Israele: i tre patriarchi, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè nostro Maestro, Aharòn il Sacerdote, Giuseppe il Giusto (in ebraico tzaddìk) e il re David.

La prima sera di Sukkòt entra per primo Abramo, accompagnato dagli altri "Ospiti". Nel secondo giorno entra per primo Isacco, accompagnato dagli altri "Ospiti", e così via, secondo l'ordine della lista di sopra, fino al giorni di Osha‘nà rabbà, in cui il primo a entrare nella sukkà è il re David, accompagnato dagli altri "Ospiti".

È scritto nel Talmùd che quando Rav Amnuna entrava nella Sukkà era felice. All'entrata della sukkà (dall'interno) soleva dire: "Invitiamo gli Ospiti!". Dopo aver apparecchiato la tavola, diceva: "«Dimorerete nelle sukkòt per sette giorni» (Vayikrà 23, 42). Sedetevi, o voi "Ospiti" superiori e santi. Alzava le mani e diceva con giubilo: "Beata la nostra eredità e beati i figli d'Israele che hanno avuto il merito di essere con il Santo Benedetto Egli sia e di diventare il Suo popolo".

Nel libro "Mattè Efràim" è scritto che è uso che ogni giorno di Sukkòt si dicano delle derashòt (discorsi di Torà) che hanno a che fare con gli "Ospiti" di quel giorno. Ad esempio, il primo giorno si dovrebbe parlare del nostro patriarca Abramo. Per questo motivo, ho deciso di riportare nelle prossime pagine una piccola parte delle tanti e grandi qualità di almeno cinque dei sette "ospiti".77

Note:

77 Tratto dal libro "La festa di Sukkòt nella Halakhà e nei racconti"



Abramo e Mosè

Quando Abramo si preparò per mettere in atto il comandamento del Signore di sacrificare il figlio Isacco, è scritto (Bereshìt 22, 3): "E Abramo si alzò di buon mattino e sellò il suo asino". I nostri Maestri insegnano che l'asino di Abramo è lo stesso asino su cui aveva cavalcato Mosè, assieme a sua moglie e ai suoi figli, ed è lo stesso asino su cui cavalcherà il Mashìach quando si rivelerà (presto nei nostri giorni).

Ci dobbiamo chiedere: perché il Mashìach e Mosè usano proprio l'asino di Abramo? Non possono trovare un altro asino?

Il Maharàl spiega che con la parola "chamòr" (in italiano, asino), utilizzata dai Maestri, non si intende l'animale, bensì essa è un riferimento alla parola "chòmer"(in italiano, materialità). Ad Abramo, Mosè e il Mashìach è infatti attribuita la forza di "cavalcare" sulla materialità, ossia la capacità di dominare la materialità.

Per amore nei confronti del Signore, Abramo dominò la sua parte materiale e sconfisse la natura dell'uomo, quando legò sull'altare il suo unico figlio, Isacco, che gli era nato all'età di cento anni.

Mosè fu scelto dal Signore come liberatore del popolo d'Israele dall'Egitto, soltanto dopo che aveva conquistato e piegato la sua materialità, arrivando a livelli spirituali elevatissimi.

Allo stesso modo, anche il Mashìach sarà colui che riuscirà a sottomettere tutta la materialità.

Anche noi, pur non essendo arrivati al livello di sottomettere del tutto la materialità dedicandoci soltanto alla spiritualità, dobbiamo tuttavia cercare di contemplare e notare il grande livello spirituale attribuito ad Abramo, Mosè e al Mashìach, affinché la materialità che ci circonda non prenda il sopravvento su di noi.78

Note:

78 Tratto dal libro "Netivè Or" del Rav Nissim Yaghen zz"l



Giuseppe il Giusto

Proviamo a immaginare in quale situazione si trovava Giuseppe dopo che i fratelli lo vendettero come schiavo in Egitto. Giuseppe il Giusto era figlio di Giacobbe, nonché il "prescelto" tra i Patriarchi. Egli possedeva molta saggezza e intelligenza. E si trovò improvvisamente schiavo in Egitto.

In che modo vive uno schiavo? Lo schiavo deve essere pronto a compiere i lavori più vergognosi per il padrone, fino anche a lucidargli le scarpe, grattargli la schiena, fargli la doccia, ecc.

Di chi era schiavo Giuseppe? Non di un re o di un principe importante, bensì di un Egiziano. Proprio lui, Giuseppe il Giusto, cresciuto nella casa di Giacobbe, il "prescelto" tra i Patriarchi, si ritrovò a essere schiavo degli Egiziani.

Se noi avessimo dovuto affrontare tutte le prove di Giuseppe, o persino solo alcune di esse, avremmo sicuramente dovuto superare il trauma con molta difficoltà.

Come riuscì Giuseppe il Giusto a superare tutte le prove che gli si presentavano di fronte?

A Giuseppe nacquero due figli in Egitto. Uno lo chiamò "Efràim", come ringraziamento al Signore che gli aveva dato la possibilità di prolificare pur vivendo in esilio. Il secondo lo chiamò "Menashè", come riconoscenza al Signore che dopo tanta sofferenza gli aveva concesso molte bontà, facendogli così dimenticare tutte le brutte esperienze che aveva vissuto in Egitto.

È meraviglioso! Il risultato di 22 anni di esilio in Egitto, durante i quali si alternarono una lunga serie di prove e sofferenze, non fu per Giuseppe altro che un profondo sentimento di riconoscenza nei confronti del Signore, che non lo aveva abbandonato ed era stato misericordioso nei suoi confronti anche nei momenti più difficili.79

Note:

79 Tratto dal libro "Netivè Or" del Rav Nissim Yaghen zz"l




Il re David

Il re David disse in preghiera al Signore di avere una sola richiesta: "Una sola cosa ho chiesto al Signore e la richiederò per sempre: di avere il merito di risiedere nella Casa del Signore per tutti i giorni della mia vita, di assaporare la piacevolezza del Signore e rifugiarmi nel Suo Santuario" (Salmi di David 27, 4).

Tra tutte le cose del mondo che il re David poteva chiedere da Dio, preferì richiedere di avere il merito di risiedere nella Casa del Signore!

Questa richiesta ci lascia perplessi. Perché il re David si accontentò di una sola cosa? Il Signore poteva concedergli qualsiasi cosa egli desiderasse. Inoltre, il re David introdusse la sua richiesta con le parole "Una sola cosa ho chiesto al Signore". Qual è il motivo di queste parole introduttive? La terza domanda che ci dobbiamo porre è: per quale motivo è così importante per il re David sottolineare che richiese soltanto una cosa da Dio?

Dobbiamo ricordarci che stiamo parlando del re David, che conosceva bene cosa fosse la ricchezza, così come la grandiosità del regnare e dell’essere onorati. Perché quindi non richiedere tutto ciò invece di una sola cosa, risiedere nella casa del Signore?

La risposta è che quando una persona non sa valorizzare una tale cosa, allora non si aspetta di riceverla. Ad esempio, se offrissimo a un bambino la possibilità di scegliere tra una caramella e un diamante, non c'è dubbio che sceglierebbe la caramella, poiché non conosce il valore del diamante. Inoltre, il bambino non sa che scegliendo il diamante avrebbe la possibilità di comprare tutti i dolci del mondo. È chiaro perciò che nessuno oserà dare un diamante in regalo a un bambino, perché, come abbiamo detto, il bambino non ne conosce il valore.

Prima di richiedere al Signore di risiedere nella Sua Casa per tutti i giorni della sua vita, Il re David voleva far vedere di conoscere il valore di questo regalo!! Con le sue parole introduttive, egli intendeva dire: "Signore del mondo, tra tutte le ricchezze e le bontà che ci sono sulla terra, come la possibilità di regnare o di ricevere onori, a me non ne interessa nessuna, poiché ho un solo desiderio, che è quello di avere il merito di risiedere nella Tua Casa per tutta la vita".

Attraverso queste parole, il re David volle mostrare al Signore di aver compreso il vero valore di questo regalo. Solo allora poteva automaticamente aspettarsi di riceverlo, poiché, come abbiamo spiegato nelle righe precedenti, nessuno dona un regalo a chi non ne conosce il suo vero valore. È come se il Re David avesse detto di fronte al Signore: "Papà, sappi che io conosco il vero valore di questo regalo, ossia di "avere il merito di risiedere tutti i giorni della mia vita nella Casa del Signore", per questo Ti chiedo di donarmelo".

Non c'è dubbio che quando si chiede un regalo in questo modo, lo si riceverà.80

Note:

80 Tratto dal libro "Netivè Or" del Rav Nissim Yaghèn zz"l

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In memoria di Antonella bat Giuseppina z.l.
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