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Sukkòt

IN PROSSIMITÀ DI SUKKOT, IN QUESTA E NELLA PROSSIMA SETTIMANA RIPORTEREMO ARTICOLI INERENTI ALLA FESTA, DAL LIBRO ''PERLE DI TORÁ'' DI RAV IMMANUEL PIAZZA



Gioia, piacere ed esilio a Sukkot

Per quale ragione durante il Seder di Pesàch il figlio più piccolo domanda "ma nishtanà ha-làila zè mikol halelòt" - "Perchè questa sera è così diversa dalle sere di tutto l'anno?" mentre la sera di Sukkòt pur abbandonando le nostre dimore per vivere in capanne non si porge questa domanda?

Il "Korban Pesach" spiega che non è il caso di domandare "ma nishtanà ha-làila zè" di Sukkòt perchè purtroppo da secoli il popolo d'Israele è abituato a dover sportarsi da un posto all'altro senza avere una dimora fissa. La sera del seder di Pesàch invece è un avvenimento speciale dove ci sediamo tutti insieme ad un tavolo pieno di benedizione del S. come un re durante un suo banchetto.

Nello Shulchan Aruch (Orach Chaiim, 640:4) è scritto: "Chi soffre per il fatto che sta nella Sukkà è esente da ciò", da cio' possiamo dedurre che l'abitare nella Sukkà deve essere per noi un godimento e un piacere.

Il Rambam nel Mishnè Torà scrive: "... anche se in tutti i moàdìm è mizvà essere felici, durante la festa di Sukkot'' nel Beth Hamikdash, Santuario di Gerusalemme, c'era una felicità superiore, come è scritto: "e sarete felici di fronte al S. vostro D. sette giorni..." quindi è mizvà abbondare in allegria". Tutto ciò però si contraddice con le parole dei Maestri z"l che vedono nella mizvà della Sukkà anche un allusione all'esilio del popolo d'Israele.

Il "Meshech Chochmà" (Emòr 23:52) spiega che esistono due tipi di Mizvòt: quelle che conducono l'uomo contro la sua natura, e quelle che invece purificano soltanto la sua natura.

Il primo esempio è quello della Sukkà. Dopo che l'uomo ha lavorato il suo campo tutta l'estate, arando, seminando, mietendo ed infine raccogliendo i suoi frutti, nel mese di Tishrì, il periodo in cui dovrebbe riposarsi in casa, godendo dei suoi sforzi, proprio allora la Torà comanda di abbandonare la nostra dimora fissa e di spostarci in una capanna precaria. Tutto ciò e contro la natura dell'uomo!

Il secondo esempio è quello del Lulav. Questa mizvà che si compie con quattro specie, non è contro la natura dell'uomo, anzi è uso nel mondo che dopo aver lavorato un' estate intera nel campo, si goda del proprio raccolto. La Torà però ci comanda di prendere proprio quattro specie, secondo la volontà Divinà, purificando la natura dell'uomo attraverso la mizvà.

Il Meshech Chochmà poi aggiunge che esiste una grande differenza tra queste due mizvot. La Sukkà dal momento che conduce l'uomo contro la sua natura, ha bisogno di una preparazione speciale, per esempio non si può eseguire la mizvà in una Sukkà che era già pronta tutto l'anno.

Il lulav invece non ha bisogno di una preparazione speciale, infatti anche se le quattro specie non sono annodate con un laccio, ma sono state unite soltanto con le mani nel momento della mizvà, ad ogni modo si è compiuta la mizvà.

Il Tur (Orach Chaiim, siman: 625) scrive: "anche se siamo usciti dall'Egitto nel mese di Nissan, non ci è stato comandato di costruire la Sukkà a Nissan, poichè dal momento che è un mese estivo ed è uso di tutti abitare in capanne per stare a l'ombra, non si riconoscerebbe che stiamo compiendo una mizvà. Così ci è stato comandato di compiere la mizvà della Sukkà nel settimo mese (Tishrì), stagione di pioggia, proprio quando è uso uscire dalle capanne per tornare nelle case, noi invece abbandoniamo le nostre dimore fisse per andare a vivere in Sukkot".

Ora possiamo rispondere alla nostra domanda iniziale. In realtà il fatto che la Mizvà della Sukkà debba essere un piacere, e che nel Moèd di Sukkot si debba essere più felici degli altri Chaghim, non contraddice ciò che ci hanno insegnato i Maestri z"l, ossia che la Sukkà allude all'esilio. Quando una persona abbandona il suo paese per emigrare in un altro, deve affrontare varie problematiche, come il freddo o il caldo, mancanza di lavoro, o addirittura non avere una dimora dove vivere. Quando il popolo d'Israele è stato liberato dall'Egitto, vivendo in "esilio" per quaranta anni nel deserto, il S. si è curato di essi, riparandoli dal caldo e dal freddo circondandoli con le "ananè ha-kavòd" le nuvole della Gloria, cibandoli con la manna, e abbeverandoli dal pozzo di Miriam, come se si trovassero in una terra piena di beni. Per questo seppur il trasferirsi in dimore precarie, Sukkot, nel mese di Tishrì, assomigli ad un esilio, dal momento che è contro la natura dell'uomo viverci in periodo di pioggia, dobbiamo abitare in esse con piacere e gioia come se fossimo in casa, in ricordo del bene che il S. fece con i nostri padri nell' "esilio" nel deserto facendoli vivere con gioia e benessere. Possiamo notare come l'esilio ed il piacere della mizvà della Sukkà e così anche la gioia stessa della festa di Sukkot possono coincidere insieme.

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