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Racconti

da Perle di Mosar

di rav Immanuel Piazza


Il salvataggio dai missili per merito di aver perdonato il proprio prossimo



Durante la guerra dei sei giorni gli alunni della Yeshivà di Mir insieme ai vicini del quartiere si rifugiarono nel Bunker della Yeshivà.

Nel frattempo i missili dei giordani colpivano Gerusalemme, e anche il palazzo della Yeshivà. Tutti coloro che si rifugiavano nel Bunker della Yeshivà, imploravano l'Eterno urlando: "Shemà Israel" e "Hashem Hù Ha-Helo-kìm".


Il Capo della Yeshivà di Mir, Rav Chaiim Shmueleviz raccontava dopo la fine della guerra: "Cosa urlavano coloro che erano con noi nel bunker? Signore del mondo siamo nelle Tue mani! Pensate che è questo che ci ha salvato? No! ci ha salvato qualcos'altro.

Non lontano da me sedeva una donna che abitava nello stesso quartiere della Yeshivà. Questa donna era "Agunà"60, già da 20 anni, dal momento in cui suo marito era scappato. Immaginativi che triste vita..."

Chi aveva sentito queste parole dal rav stesso con facilità avrebbe potuto capire che aria di amarezza avvolgeva quella donna.

Per qualche secondo il rav tacque, e scosse la sua testa con aria di tristezza. Improvvisamente colpì con la sua mano il tavolo, e con una voce di dolore, fece palpitare i nostri cuori dicendo: "Lei ci ha salvato. Quando ero nel bunker, dal posto in cui sedevo l'ho sentita urlare: "Signore del mondo io perdono ogni persona che mi ha fatto soffrire, persino mio marito che mi ha abbandonato già da 20 anni".

Continuò il rav dicendo: "Quando ho sentito quella frase ho capito che ci saremmo salvati. Cosa intendeva dire quella donna? Intendeva: "Signore del mondo, per favore guarda cosa sono in grado di fare! Fai anche te qualcosa per noi". Questo ciò che ci ha salvato..." 61

60 Ossia, era stata abbandonata da suo marito senza il "Ghet"- documento di divorzio, e non poteva sposarsi nuovamente e ricrearsi una nuova vita senza che suo marito le desse il "Ghet".

61 Tratto dal libro "Mochel ve-soleach la-chaverò" di rav Aharòn Zakkai


Per il merito di aver rinunciato a reagire...



Più o meno cento anni fa, successe che una donna legò da una parte all'altra del cortile due corde per appendere il bucato. A quei tempi c'era un giorno particolare della settimana chiamato "giorno del bucato", giorno in cui ci si affaticava per ore e ore di lavoro per lavare i panni. Dopo tanti sforzi, dopo che la donna completò di appendere il bucato di una settimana intera, arrivò la vicina che infastidita dai panni appesi nel cortile andò a casa, prese le forbici e tagliò le due corde. Tutto il bucato pulito cadde a terra e si sporcò. In quel momento la padrona del bucato stupefatta voleva strillare alla vicina ma si fece coraggio e non reagì, rimase in silenzio e non gli disse nulla, radunò i panni e fece nuovamente il bucato però appendendolo nel cortile del quartiere vicino.

La sera quando suo marito tornò a casa dal Beth haMidrash (luogo di studio della Torà) voleva raccontargli ciò che gli aveva fatto la vicina per sfogarsi tuttavia si fece coraggio e non gli disse niente. Improvvisamente bussò la vicina e piangendo disse: "Ho già ricevuto la mia punizione, mio figlio piccolo ha la febbre alta, per favore perdona il mio peccato". La donna, che era molto giusta, la perdonò con tutto il cuore e inoltre augurò al bambino guarigione completa.

Questa donna che per anni non aveva avuto figli, per merito del suo comportamento ricevette come ricompensa che dopo un anno dall'accaduto fu finalmente incinta. Nacque un bambino conosciuto poi in tutto il mondo come uno dei più grandi Rabbini e redentori dell'Halachà, Rabbì Yosef Shalom Eliashiv 62.

62 Tratto dal libro "Kitzùr Mishpetè haShalòm" di rav Iztchaq Silver

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In memoria di Antonella bat Giuseppina z.l.
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