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NOTE SULLA HAGGADÀ DI PÈSACH

David Sciunnach

Ricordare l’uscita dall’Egitto è una mitzwà della Torà. L’uscita dall’Egitto va ricordata ogni giorno come è scritto “Affinché tu ricordi il giorno della tua uscita dall’Egitto tutti i giorni della tua vita” (Devarìm, 16:3). Nella Haggadà è riportata parte della Mishnà Berakhòt (1:5) dove il versetto succitato è così spiegato da Shim’òn Ben Zomà: “I giorni della tua vita” sono i giorni; la parola “tutti” viene ad aggiungere anche le notti. Per questo motivo si ricorda l’uscita dall’Egitto sia nella tefillà del mattino (shachrìt), sia quella della sera (‘arvìt).


Durante il Sèder di Pèsach vi è la mitzwà di raccontare i miracoli che vennero fatti ai nostri padri nella notte di Pèsach, come è scritto: “Ricorda questo giorno nel quale siete usciti dall’Egitto” (Shemòt, 13:3) e “ lo racconterai a tuo figlio in quel giorno...” (Shemòt, 13:8).


La Haggadà contiene i testi che devono esser recitati durante il Sèder ed è essenzialmente un ringraziamento al Creatore per la redenzione e per aver ricevuto in dono la terra d’Israele.


Il Sèder si svolge secondo un ordine prescritto, riassunto in versi facili da ricordare. La maggior parte dei testi si apre con la formula: Qaddèsh, Urchàtz, Karpàs, Yahàtz, Magghìd, Rochtzà, Motzì Matzà, Maròr, Korèch, Shulchàn Orèkh, Tzafùn, Barèkh,

Hallèl, Nirtzà, attribuita da alcuni a Rashì e, da Shadal (citato nel Siddùr Otzàr ha-Tefillòt), a Shemuèl da Peluse.


Il Magghìd, che significa appunto narrazione, è la parte più importante della Haggadà e inizia con il racconto delle origini del popolo ebraico e della redenzione dall’Egitto.


Il Sèder è composto da tre parti: la prima parte è la narrazione dell’uscita dall’Egitto; la seconda consiste nell’adempimento della mitzwà di mangiare matzà e maròr durante la sera di Pèsach, a cui fa seguito la cena festiva; la terza parte inizia con la birkàt hamazòn e continua con lo Hallèl e la lode Nishmàt Kol Chay e si conclude con l’ultimo bicchiere di vino.

I Maestri nel Talmùd (Pesachìm, 116a) insegnano che la Haggadà “inizia con diffamazione e finisce con lode”; inizia con il racconto della schiavitù d’Egitto e finisce ricordando che il Creatore ci ha avvicinato al Suo servizio e ha liberato i nostri padri dall’Egitto.



L’origine della Haggadà

Il termine Haggadà compare già nel Talmùd (Pesachìm, 115b) dove è scritto: “ e non si toglie il tavolo altro che a colui che legge la Haggadà”. L’ultimo capitolo del trattato Pesachìm include già il testo del Ma Nishtanà e l’indicazione degli altri testi da recitare. Vi sono anche le istruzioni per adempiere alla mitzwà di consumare la matzà e il maròr e di bere i quattro bicchieri di vino; vi sono anche elencate le berakhòt da recitare per il karpàs (borè perì ha-adamà); per la matzà (ha-motzì e ‘al akhilàt matzà) e per il maròr (‘al akhilàt maròr).


Secondo gli studiosi, il testo della narrazione corrisponde al cosiddetto “uso delle due accademie” quelle di Sura e Pumbedita in Babilonia, attive nei secoli VI-XI e.v. Molto probabilmente il testo a noi pervenuto risale all’VIII secolo. Questo lo si deduce dalle Teshuvòt (responsi), di alcuni Gheonìm che fanno riferimento a un testo analogo a quello odierno e che è simile in tutto il mondo.

La Haggadà è un’antologia di citazioni tratte dalla Torà, dalla Mishnà, dal Talmùd, dai Tehillim, dal Midràsh e dalla Tefillà, che viene letta secondo la melodia tradizionale.


Dal momento che è anche mitzwà chiedere chiarimenti e aggiungere spiegazioni, come è detto nella Haggadà: “Chi abbonda nel racconto dell’uscita dall’Egitto fa cosa lodevole”, è importante spiegare ai commensali quello che si legge per rafforzare la emunà (fiducia nel Creatore) e il desiderio e l’aspirazione a osservare le mitzwòt con entusiasmo e simchà (allegria). Inoltre vi sono usi e tradizioni che caratterizzano una comunità o anche tradizioni familiari che sono diventate parte del Sèder, come per esempio quello di mettere la matzà sulla spalla per ricordare il modo in cui i nostri antenati uscirono dall’Egitto.



Le prime edizioni della Haggadà

Avraham Yaari, probabilmente il principale studioso delle varianti e delle edizioni pubblicate delle haggadòt, pubblicò nel 1960 una bibliografia sulla Haggadà (The Bibliography of the Passover Haggada from the Earliest Printed Editions to 1960) nella quale contò non meno di 437 commentatori. Non sono inclusi in questo numero i nuovi commenti composti e pubblicati dal 1960 ad oggi e quelli ritrovati successivamente nelle biblioteche e nelle ghenizòt.


Nel 1976 fu pubblicata, a cura di Yosèf Chayìm Yerushalmi, una catalogazione di 3500 edizioni della Haggadà che abbracciano cinque secoli di storia. Infine una delle ultime ricerche sull’editoria ebraica dal suo inizio sino alla fine del XIX secolo è stata pubblicata da Yeshayàhu Vinograd a Gerusalemme nel 1995 (The Thesaurus of the Hebrew Book). Queste tre opere sono utili a coloro che vogliono studiare l’argomento tecnico delle variazioni nei testi delle haggadòt. È però molto più importante studiare i commenti della Haggadà pubblicati nel corso delle generazioni e in particolare quelli numerosissimi pubblicati negli ultimi anni.


Le prime haggadòt erano contenute all’interno dei Siddurìm, formulari di preghiera, come quello del gaòn Mar-‘Amràm Ben Sheshna (869-891 circa) e quello del gaòn Sa’adià Ben Yosef (892 – 942 circa). Oggi quasi tutte le haggadòt sono dei testi a sé stanti.


I più antichi manoscritti che contengono esclusivamente il testo della Haggadà risalgono al XIII secolo. La Haggadà è una delle poche opere della tradizione ebraica nella quale sono incluse illustrazioni, talvolta anche molto pregiate, presenti in gran quantità nelle edizioni antiche e moderne.



Le prime edizioni stampate della Haggadà

La prima edizione a stampa della Haggadà è quella pubblicata a Guadalajara (Spagna) nel 1482 che è composta da dodici pagine; l’unico esemplare conosciuto è conservato presso la Biblioteca Nazionale dell’Università di Gerusalemme ed è priva di illustrazioni e di vocalizzazione. Basandoci proprio sulla stampa di questa prima edizione e considerando che il primo libro stampato in caratteri ebraici risale al 1475, e cioè solo sette anni prima, si comprende l’importanza che la Haggadà ha assunto all’interno della vita ebraica, sino a divenire uno dei testi più pubblicati e commentati.

La prima edizione stampata in Italia è quella dei Soncino del 1486, di 32 pagine, pubblicata a soli quattro anni da quella spagnola. C’è da far notare che la pubblicazione di un qualsiasi testo in quel periodo, agli albori della stampa, trovava grandi difficoltà, sia nella composizione del testo, che era fatta totalmente a mano, sia per ciò che concerne la sua divulgazione.



Le haggadòt illustrate

Una pagina della haggadà di Sarajevo (c. 1350)

La Haggadà illustrata più famosa è la Haggadà di Sarajevo, un manoscritto compilato attorno all’anno 1350 in Spagna, conservato nel museo nazionale di Sarajevo. Il manoscritto riporta la firma affissa nel 1609 dal censore italiano Gio. Domenico Vistorini, segno che in quell’anno non era ancora arrivato a Sarajevo. Le 69 miniature sono all’inizio e precedono i testi.

Il testo del Magghid è pressoché identico a quello odierno. Questa haggadà differisce dalle haggadòt attuali: manca l’ordine Qadèsh, Urchàtz..., le istruzioni sono scritte con gli stessi caratteri del testo, e alla fine vi è una serie di piyutìm (poesie) chiamate anche pizmonìm e azharòt, composte da R. Yehudà Halevi, R. Yitzchàq Ibn Ghiat, R. Shelomò Ibn Gavirol e R. Avrahàm Ibn ‘Ezra.


La Haggadà di Sarajevo sotto certi aspetti assomiglia a un machazòr perché include anche le tefillòt di Pèsach, le parashòt che si leggono negli otto giorni della festa e anche il testo della Mishnà del trattato Pesachìm. Mancano invece i canti tradizionali delle haggadòt attuali come il Chad Gadyà.


Circa un terzo delle edizioni delle haggadòt comprende delle illustrazioni; la prima di queste che ci è pervenuta intera è quella pubblicata a Praga del 1526. Le illustrazioni che affiancano il testo, in genere rappresentano le mitzwòt e le usanze del Sèder, fornendo spesso interessanti informazioni su alcune usanze particolari, l’uscita dall’Egitto ed altri eventi tradizionali connessi alla notte di Pèsach e alla futura redenzione messianica.




Una delle più belle haggadòt illuminate è quella pubblicata ad Amsterdam nel 1737.

Una delle più rare edizioni italiane è quella di rito tedesco del 1560, di 48 pagine, stampata a Mantova presso l’editore Giacomo Ruffinelli, a cura di Yitzchàq di Shemuel Bassan, grazie alla liberalità di Yitzhàq Coen Porto. Questa haggadà include il canto Addìr Hu in versione jiddish. Il testo presente in tutte le pagine, eccetto una all’inizio, è comune alla haggadà praghese mentre le immagini, di grande pregio e raffinatezza, sono completamente diverse.


La haggadà di Amsterdam (1737)

Otto anni dopo, sempre a Mantova, viene stampata una seconda edizione della stessa haggadà con nuove decorazioni.

La prima edizione che contiene anche la traduzione della Haggadà oltre al testo ebraico, è quella di Venezia del 1609; da allora Yaari conta 218 traduzioni in diverse lingue. In Italia, successivamente, furono pubblicate le prime haggadòt con testi tradotti in giudeo-spagnolo, jiddish e italiano. Nelle edizioni più antiche, la lingua in cui è tradotto il testo è scritta con caratteri ebraici.

Vi è da sottolineare che nella quasi totalità delle haggadòt tradotte nella lingua parlata dagli ebrei del paese è presente anche il testo ebraico. Le sole eccezioni sono l’edizione di Francoforte sul Meno del 1512, di 32 pagine scritta in latino, in formato ridotto, opera di Beato Murner. Questa haggadà era stata pubblicata su richiesta dei frati francescani e comprende alcune raffigurazioni molto sommarie ispirate ad un modello ebraico. La seconda eccezione è quella della haggadà pubblicata ad Amsterdam nel 1622 in spagnolo. Soltanto nel XX secolo si avranno nuovamente altre edizioni della Haggadà con la sola traduzione.



Le haggadòt pubblicate in Italia

Secondo lo Yaari, fino al 1960 furono pubblicate in Italia oltre centosessanta edizioni della Haggadà.

Meritano di esser ricordati nel panorama della tipografia ebraica veneziana due personaggi che hanno contribuito a lasciare un segno importante nella storia ebraica italiana. Questi sono Israel Zifroni di Guastalla, curatore della haggadà pubblicata da Zuan de Gara, e Mosè Parenzo che, per i tipi della Stamperia Bragadina, nel 1716 realizzò un testo con traduzione italiana in caratteri ebraici e commento Tzelì Esh, versione ridotta da Leon Da Modena del commento di R. Yitzhàq Abravanèl.

A Livorno, tra il 1782 ed il 1948 vengono portate alla stampa centotre diverse edizioni; nel 1904 appare la versione comunissima con la traduzione a piè pagina e le illustrazioni dell’edizione di Venezia del 1609.

Frontespizio di una haggadà pubblicata da rav Benamozegh con traduzione in lingua araba (1855)

Molti sono gli editori livornesi che hanno lasciato un contributo in tal senso. Tra quelli più noti ricordiamo Sa’adun, Palagi, Tubiana, Benamozegh e Belforte. Gran parte delle haggadòt pubblicate a Livorno serviva le comunità tunisine, turche, egiziane, irachene e siriane e conteneva traduzioni in arabo o ladino.


Anche a Trieste nel 1864, per le edizioni Colombo Coen, viene alla stampa una haggadà illustrata e tradotta in italiano con caratteri latini da A.V. Morpurgo, con raffigurazioni dell’incisore e disegnatore C. Kirchmayr e con varianti secondo il minhàg tedesco, italiano e spagnolo.



La haggadà di Trieste (1864)

I commentatori della Haggadà

I primi commentari furono scritti in uno stile talmudico, come lo si può rinvenire nelle opere halakhiche della scuola di Rashì e dei suoi discepoli (Machazòr Vitri, ediz. S. Buber, 1905; Siddùr Rashì, ediz. S. Buber, J. Freimann, 1911). Il commento attribuito a R. Shmuèl ben Meir è scritto in questo stesso stile.


Una più comprensiva, ampia e profonda esposizione la si trova nello Shibbolè ha -Lèqet di R. Tzidqiyà ben Avrahàm Anav da Roma (XIII sec., ediz. S. Buber, 1886), in cui vengono incorporate alcune annotazioni di R. Yeshayà da Trani come pure alcune interessanti novellae del fratello dell’autore. C’è da considerare che generalmente i primi commentatori, almeno fino al XIV secolo, si limitavano semplicemente ad annotare il testo.


Dopo il XV secolo, oltre al classico commento di chiarificazione testuale, i commentatori includono nelle loro esposizioni sia considerazioni sullo stile narrativo, sia, più avanti, analisi e considerazioni di tipo storico e commenti sulla base dello peshàt (spiegazione semplice), del rèmez (spiegazione allegorica) e del sod (spiegazione basata sulla Qabbalà). Un esempio di questi è la prima edizione, affiancata da commento, della haggadà Zèvach Pèsach di R. Yitzchàq Abravanèl, stampata a Costantinopoli nel 1505. Il volume comprende 40 pagine, in secondo.


Sulla base delle più recenti ricerche risulta che in Italia sono stati pubblicati sette commenti alla Haggadà in lingua italiana e sedici in ebraico.


Tra i più notevoli commenti in ebraico vi sono il già citato Shibbolè ha-Lèqet di R. Tzidqiyà Anav; il commento Shèvach Pèsach di rav Yishma’èl ha-Coen (Laudadio Sacerdote, Rav di Modena) stampato a Livorno nel 1785, quello di rav Eli’èzer Nachmàn Foà stampato a Venezia nel 1641 e quello di Shimshòn Nachmani, Rav a Reggio Emilia nel XVII secolo con il nome Zèra’ Shimshòn.

Negli ultimi decenni si possono contare numerosissime nuove edizioni correlate da nuovi commenti e da traslitterazione, per aiutare coloro che non conoscono l’ebraico a seguire la lettura che viene fatta nella lingua sacra.

La haggadà di Livorno (1948)


Vi è in fine da evidenziare le differenze che si possono riscontrare tra le edizioni per ciò che concerne i canti che, non facendo parte del testo della Haggadà, variano a seconda delle usanze comunitarie. Spesso le annotazioni, i commenti e le glosse manoscritte all’interno dei vari volumi hanno fornito agli studiosi informazioni utili alla comprensione e alle affinità tra le diverse tradizioni, talvolta permettendo di ricostruire la storia di persone e di famiglie.



Conclusione

La Haggadà è uno dei testi tradizionali più conosciuti e più amati. Negli ultimi anni ne sono state pubblicate moltissime edizioni, specialmente negli Stati Uniti e nello Stato d’Israele.

In Italia negli ultimi vent’anni sono state pubblicate nuove haggadòt con nuovi commenti e con vesti editoriali sempre più eleganti. C’è da augurarsi che anche per coloro che ora osservano solo parzialmente le mitzwòt, il Sèder di Pèsach e la lettura della Haggadà servano da incoraggiamento ed ispirazione a una sempre maggiore identificazione con gli ideali della Torà e all’osservanza delle mitzwòt.

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