top of page

Le montagne ballarono come arieti


di Yosef Sonnenschein


PERCHÉ DI SIMCHÀT TORÀ SI BALLA CON I SIFRÈ TORÀ

Durante il giorno di Simchàt Torà è uso comune nei batè kenessiòt fare festa ballando con i Sifrè Torà. C’è chi ha chiesto quale sia il motivo di questa usanza (minhàg) affermando che occuparsi di Torà è un’attività spirituale poiché la gioia di studiare Torà è tutta spirituale. Pertanto nel giorno di Simchat Torà dovrebbe essere più appropriato manifestare la nostra gioia in modo spirituale e non ballando.

A questa domanda si può rispondere che il ballo è appropriato quando si vuole festeggiare il dono della Torà perché il Talmud babilonese nel trattato Pesachìm (118) menziona che il versetto: “Le montagne ballarono come arieti e le colline come il gregge” (Tehillìm, 115) si riferisce al giorno in cui i figli d’Israele ricevettero la Torà. È quindi significativo il fatto che re David che compose i Tehillìm, descrive le montagne che ballarono come arieti e le colline come un gregge proprio in occasione del giorno in cui fu data la Torà (Mattàn Torà). Nel commento Mishnà Berurà allo Shulchàn ‘Arùkh (Cap. 669, nota 11) R. Israel Meir Hakohen, detto Chafètz Chayìm dal nome della sua opera più nota, scrive: “R. Yosef Colon (Shòresh 9) scrive che Rav Hay Gaon afferma che in questo giorno (cioè Sheminì ‘Atzèret - Simchàt Torà) quando si leggono le composizioni di lode alla Torà anche i vecchi usano ballare. Pertanto è opportuno che tutti cerchino di sforzarsi a cantare e ballare in onore della Torà prendendo esempio da re David che, [quando portò l’Aron Haqòdesh a Gerusalemme] «Danzava a tutta forza davanti all’Eterno» (Shemuèl II, 6:14). Così pure viene citato R. Yitzchak Luria, detto Ari z’l, che affermò di essere arrivato al suo livello più elevato (di spiritualità) grazie al fatto che festeggiava con tutte le sue forze in occasione di una festa di mitzwà. E si dice che anche il Gaon di Vilna avesse ballato davanti al Sèfer Torà con tutte le sue forze”. Chi legge queste parole si domanda meravigliato quale sia il motivo per cui il Chafètz Chayìm porta tanti esempi per sottolineare l’importanza di ballare a Simchàt Torà. Un’altra domanda che ci si pone è quale sia il legame tra i festeggiamenti di Simchàt Torà e la festa di Sukkòt che la precede. Certamente il fatto che Simchàt Torà segua la festa di Sukkòt non è un fatto casuale.


IL RUOLO DI SHEMINÌ ‘ATZÈRET E SIMCHÀT TORÀ NEI MO’ADÌM


Per iniziare a rispondere a queste domande è necessario comprendere il significato del ciclo dei tre Yamìm Tovìm (Pèsach, Shavu’òt e Sukkòt)

R. Yitzchàk Hutner in uno dei suoi shi’urìm (lezioni) pubblicati nel sèfer Pàchad Yitzchàq (Rosh Hashanà, Maamàr 9:1) insegnò quanto segue: “I Shalòsh Regalìm (le tre feste di pellegrinaggio) vengono chiamate nella Torà con denominazioni che riflettono le differenti stagioni agricole. Pèsach è chiamata Chag Ha-Avìv, festa della primavera, Shavu’òt è chiamata Chag Ha-Qatzìr, festa della mietitura e Sukkòt è chiamata Chag ha-Assìf, festa del raccolto.

Le spiegazioni di questi appellativi sono presentate dal Maharal di Praga nella sua opera Ghevuròt Hashem (cap. 46) dove insegna che quando una persona incarica qualcuno ad agire come suo shalìach, il rapporto tra i due è basato su tre fasi: la nomina dello shalìach, il compimento della missione e la conferma da parte dello shalìach che la missione è stata compiuta.

La creazione della comunità d’Israele e il compito di operare come incaricato dal Creatore allo studio della Torà e alla osservanza delle mitzwòt si manifesta nell’uscita dall’Egitto, la festa della primavera, che segna l’inizio della missione. L’attività della comunità d’Israele nello studio e nell’osservanza della Torà e delle mitzwòt, cioè il compimento della missione d’Israele, si manifesta nella festa di Shavu’òt, la festa della mietitura, che segna il raggiungimento dell’integrità grazie all’immersione nella Torà. La conferma della missione compiuta avverrà alla fine dei giorni quando la comunità d’Israele tornerà da Chi le ha dato il compito e potrà dire: “Missione compiuta”. Questa fase si manifesta nella festa di Sukkòt, quando il raccolto viene finalmente portato al coperto dai campi.


IL SIGNIFICATO DELLA FESTA DI SUKKÒT

La festa di Sukkòt simboleggia quindi la comunità d’Israele che raggiungerà la perfezione con il completamento della sua missione. Se Sukkòt è quindi il simbolo di perfezione per aver obbedito agli ordini del Creatore e di aver compiuto la missione, Sheminì Atzèret, l’ultimo giorno di festa, è il giorno in cui si fa festa per aver raggiunto la perfezione.

R. Tzadòk Hakohen di Lublino nell’opera Perì Tzaddìq fa una meravigliosa osservazione. Fin dai tempi dei Maestri della Mishnà vi era l’uso di leggere la parashà della settimana ogni Shabbàt nel bet ha- kenèsset. Tutte le parashòt vengono lette di Shabbàt eccetto l’ultima parashà di We-Zot ha-Berakhà. Questa parashà è peculiare in quanto non viene letta di Shabbàt e viene invece letta di Yom Tov. Per quale motivo i Maestri hanno fatto questo cambiamento? Che differenza c’è tra le parashòt del resto dell’anno e quella di We-Zot ha-Berakhà.

LA DIFFERENZA TRA TORÀ SCRITTA E ORALE

Al fine di poter comprendere appieno le parole di R. Tzadòk dobbiamo premettere il suo commento ai primi versetti della parashà di Haazìnu nei quali il nostro Maestro Moshè si rivolge al cielo e alla terra dicendo: “Ascoltate o cieli e parlerò, e la terra senta i detti della mia bocca” (Devarìm, 32:1). Il nostro Maestro Moshè parla al cielo e la terra dovrà sentire quello che dirà. Da questi versetti R. Tzadok trae l’insegnamento che ogni persona ha il suo

“cielo”, cioè la sua anima spirituale, e la sua “terra”, cioè il suo corpo materiale. Il nostro Maestro Moshè chiede che il cielo ascolti le sue parole spirituali e spera che le senta anche la materia, in modo che occupandosi di spiritualità scenda un’abbondanza di qedushà anche alla terra.


Inoltre in questo versetto il nostro Maestro Moshè si rivolge al cielo con il verbo “dabber” (parlare) mentre per la terra usa il verbo “amar” (dire). R. Tzadok spiegò che il verbo “dabber” si riferisce alla Torà scritta dove gli insegnamenti vengono dati appunto con questa espressione, mentre il verbo “amar” si riferisce alla Torà orale. Questo perché la Torà orale non è fatta di parole che scesero a noi dal cielo, ma da insegnamenti che emergono dalla faticosa immersione dei Talmidè Chakhamìm nello studio della Torà per chiarire la via da percorrere e quello che dobbiamo fare. Per questo motivo il nostro Maestro Moshè disse al cielo “Ascoltate o cielo e parlerò” (wa-adabèra), cioè riferirò le parole dell’Eterno nella Torà scritta che proviene dal cielo. E in questo modo “la terra sentirà”, cioè il corpo la cui funzione è quella di sforzarsi nello studio della Torà nel mondo terreno, sentirà “i detti della mia bocca” e capirà quale sia la volontà divina.

Con questa spiegazione è possibile capire il versetto successivo di Haazìnu: “Si spanda il mio insegnamento come la pioggia, stili la mia parola come la rugiada”. Anche in questo caso la prima parte del versetto è un’allusione alla Torà scritta e la seconda, alla Torà orale. La pioggia scende sulla terra ed è evidente che scende dal cielo. La discesa della rugiada non è evidente e appare invece che trasudi dalla terra. Così avviene con la Torà scritta dove è chiaro che le parole sono quelle che l’Eterno disse al nostro Maestro Moshè. La Torà orale è invece la volontà divina che si rivela tramite la mente dei Maestri d’Israele, come la rugiada la cui discesa sulla terra non è evidente. Anche la Torà orale è frutto della parola divina che si rivela attraverso gli sforzi intellettuali dei Maestri d’Israele.


COSA HA DI SPECIALE LA PARASHÀ DI WE-ZOT HA-BERAKHÀ


Dopo questa introduzione possiamo capire cosa abbia di speciale la parashà di We-Zot Ha-berakha. La peculiarità di questa parashà è che funge da ponte tra la Torà scritta e quella orale. Attraverso questa parashà passiamo dalla Torà scritta, dove ogni lettera e ogni parola è di origine celeste, alla Torà orale che deriva dagli sforzi intellettuali degli israeliti che si immergono nello studio della Torà scritta e vi scoprono nuovi insegnamenti.

Per questo motivo tutte le parashòt della Torà vengono lette di Shabbàt perché la qedushà dello Shabbàt è eterna e deriva direttamente dal Creatore del mondo e non dipende dalla qedushà del popolo d’Israele. Infatti di Shabbàt diciamo alla fine della berakhà della ‘Amidà “Benedetto tu o Eterno che santifica lo Shabbàt” (“Meqaddèsh ha Shabbàt”).

La parashà di We-Zot ha-Berakhà, in un certo modo appartiene già alla Torà orale che si rinnova scoprendo nuovi insegnamenti grazie agli sforzi dei Talmidè Chakhamìm, e viene letta di Yom Tov, che trae la propria qedushà da quella del popolo d’Israele. Infatti nella tefillà diciamo “Benedetto tu o Eterno che santifica Israele e le ricorrenze” (Meqaddèsh Israel We-Ha-Zemanim). L’Eterno santifica Israele e Israele santifica le ricorrenze.

La Torà non è stata data al popolo d’Israele affinché le sue parole rimanessero solo in un mondo spirituale. La volontà dell’Eterno è che le Sue parole penetrino nel mondo materiale in modo che tutta la Terra venga infusa dalla conoscenza divina e tutte le parti del corpo umano vengano influenzate dalla forza della qedushà del Santo Benedetto.

Per questo motivo di Shavu’òt, il giorno in cui è stata data la Torà, abbiamo l’usanza di studiare Torà di notte, mentre nel giorno di Sheminì Atzèret che rappresenta il culmine del perfezionamento umano, esprimiamo la nostra simchà, felicità, proprio ballando, ossia con il movimento del corpo al suono della musica dell’anima per mostrare quanto siamo felici che le parole della Torà siano entrate in noi lasciandone l’impressione.


Durante il Mattàn Torà, nel giorno in cui ci fu data la Torà furono le montagne che ballarono come arieti, proprio per mostrare quale sia lo scopo dello studio della Torà. E il giorno di Sheminì Atzèret è il punto d’arrivo del giorno in cui fu data la Torà.

Comments


Dediche
candela.jpg
In memoria di Antonella bat Giuseppina z.l.
Vuoi dedicare un numero della nostra newsletter in occasione di un lieto evento, per ricordare una persona cara o per una preghiera di guarigione? 
Cerca da un Tag
Segui "Arachim Italia" su Facebook
  • Facebook Basic Black

Ti è piaciuto quello che hai letto? Fai una donazione adesso e aiutaci a pubblicare altri

articoli e a svolgere le nostre attività!

ARACHIM ITALIA ONLUS – IBAN: IT 20 N 02008 05119 000029359091

© 2024 by "Arachim Italia Onlus". Proudly created with Wix.com

bottom of page