L’importanza della kawanà nelle mitzwòt
di Michele Cogoi
La parola kawanà viene generalmente tradotta con “intenzione”, “intento" o “concentrazione". Esistono parole con la stessa radice che permettono di fare migliore luce sul suo significato.
Per esempio, la parola kiwùn vuol dire “direzione”; mekhavèn vuol dire “allineare”. Da qui possiamo forse dedurre che con la kawanà allineiamo cuore e mente al compimento della mitzwà, in modo da indirizzarla verso il Creatore. Si può dire che, in modo figurativo, allineiamo il nostro volere a quello del Creatore.
Il navì (profeta) Yesha’yà redarguisce il popolo d’Israele ammonendolo con le parole del Signore (Yesha’yà, 29:13):
Poichè questo popolo si è avvicinato a Me; con la bocca e le labbra Mi rende onore, ma il suo cuore si è allontanato da Me; il loro timore in Me è costituito solo dal compimento di atti meccanici.
Nel Talmùd Nedarìm (62a) è spiegato che il monito di Yesha’yà riguarda tutte le mitzwòt e non solo le parole delle tefillòt o delle berakhòt.
Lo Shulchàn ‘Arùkh (Òrach Chayìm, 60: 4), riprendendo questo concetto, riporta la halakhà che le mitzwòt richiedono kawanà (mitzwòt zerikhòt kawanà) e i commentatori ne elaborano il significato e le applicazioni.
La kawanà necessaria quando si compie una mitzwà
R. Israel Meir Ha-Kohen, autore del commento Mishnà Berurà allo Shulchàn ‘Arùkh (60:4) spiega in questo modo il principio che le mitzwòt richiedono kawanà: quando ci si accinge a compiere una mitzwà, bisogna essere consapevoli che si sta compiendo un atto comandato dal Signore del mondo.
La mitzwà, ogni mitzwà, è composta da due parti essenziali: l’azione e l’intenzione.
Senza l’intenzione e la consapevolezza di quello che si fa, l’azione compiuta non è considerata una mitzwà.
La halakhà che le mitzwòt richiedono kawanà, vale per tutte le mitzwòt, sia per quelle che vengono osservate compiendo un’azione, sia per le altre.
Questa regola può essere meglio chiarita con qualche esempio.
Nella Torà è scritto (Bemidbàr, 29:1):
Il primo giorno del settimo mese sarà per voi un giorno di sacra convocazione, non farete alcuna melèkhet ‘avodà e sarà per voi il giorno in cui si suonerà lo shofàr.
Da questo versetto si impara che è mitzwà sentire il suono dello shofàr di Rosh ha-Shanà.
La mitzwà di sentire il suono dello shofàr va compiuta con la consapevolezza che si sta compiendo una mitzwà; pertanto se si suona lo shofàr a Rosh ha-Shanà solo con l’intenzione di fare pratica o di verificarne il suono non si è compiuta la mitzwà.
Lo stesso vale per la mitzwà di leggere lo Shemà’ due volte al giorno, di mattina e di sera come è scritto (Devarìm, 6:7):
“ne parlerai di esse quando ti corichi e quando ti alzi”.
Questa lettura va fatta con l’intenzione di compiere la mitzwà. Chi legge lo Shemà’ per studiare il testo della Torà, se l’ha fatto senza l’intenzione di compiere un atto comandato dal Signore, non ha compiuto la mitzwà.
Per la mitzwà di sentire il suono dello shofàr e della lettura dello Shemà’, entrambe prescritte dalla Torà, se vi è il dubbio che la mitzwà non sia stata compiuta con la kawanà necessaria, o che non sia stata compiuta del tutto, la mitzwà va ripetuta, perchè quando esiste un dubbio se si è osservata una mitzwà della Torà o meno, si deve essere rigorosi e ripeterla. Lo stesso vale per tutte le altre mitzwòt prescritte dalla Torà.
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