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Il tallìt preso in prestito


di Michael Wagner



Quando si osserva la mitzwà dello tzitzìt, l’appartenenza del tallìt e come viene usato, possono sembrare dettagli di importanza trascurabile. Invece da questi dettagli dipende se si compie la mitzwà dello tzitzìt e se si recita la relativa berakhà quando si indossa il tallìt. Una serie di casi relativamente comuni sono i seguenti:


  • Il tallìt viene preso a prestito da un privato.

  • il proprio tallìt viene indossato per onorare il pubblico (per esempio, per fare il chazzàn ).

  • ll tallìt viene preso in prestito per onorare il pubblico.

  • Il tallìt comunitario viene utilizzato pe r compiere la mitzwà (per esempio, la tefillà di shachrìt3).

  • il tallìt comunitario viene utilizzato per onorare il pubblico.


A chi appartiene il tallìt

Nel versetto della Torà è scritto: “Ti farai dei fili intrecciati ai quattro angoli del tuo vestito, con il quale ti coprirai” (Devarìm, 22:12).

La Ghemarà (Chullìn, 136a) spiega che la parola kesutkhà (“il tuo vestito”) indica che tra i requisiti necessari per il compimento della mitzwà dello tzitzit vi è anche quello che l’indumento sia “tuo”, ovvero sia di proprietà di chi lo indossa e non di proprietà di un’altra persona. Ciò esclude il caso in cui si indossi un indumento ricevuto in prestito.

Lo Shulchàn ‘Arùkh (Orach Chayìm, 14:3) riprende questo insegnamento e lo codifica: “Chi riceve in prestito un indumento senza tzitziòt è esente dall’apporvi gli tzitziòt“. Cosa significa che è esente?. Secondo la maggioranza dei poseqìm (decisori halakhici), l’esenzione della mitzwà del tzitzit consiste nel fatto che un indumento preso a prestito, ovvero un indumento che non sia di proprietà di chi lo indossa, non richiede l’osservanza della mitzwà dello tzitzìt. Non solo non vi è l’obbligo di apporli, ma se si appongono titiziòt all’indumento preso a prestito e lo si indossa non si compie la mitzwà del tzitzìt. Pertanto colui che prende a prestito l’indumento non solo non è tenuto ad apporvi gli tzitziòt, ma nel caso in cui lo faccia e lo indossi, non compie la mitzwà

e non recita quindi la relativa berakhà.

Riepilogo halakhico: per compiere la mitzwà dello tzitzìt e recitare la relativa berakhà è necessario che l’indumento (tallìt) sia di proprietà di chi lo indossa. Se il tallìt non è di proprietà di chi lo indossa, questi non compie la mitzwà dello tzitzìt e quindi non recita la berakhà.


Tallìt preso in prestito da un privato

Lo Shulchàn ‘Arùkh aggiunge che “se [qualcuno] riceve in prestito [il vestito] già dotato di tzitzìt, si recita la berakhà [sullo tzitzìt quando lo si indossa]” e si compie quindi la mitzwà dello tzitzìt.

Questa halakhà è di difficile comprensione. Dato che per il compimento della mitzwà è necessario che l’indumento sia di proprietà di chi lo indossa, non dovrebbe esserci nessuna differenza se l’indumento sia dotato di tzitziòt o meno. Perché lo Shulchàn ‘Arùkh dice invece che bisogna recitare la berakhà nel caso in cui vi siano gli tzitziòt?

Per rispondere a questa domanda, è utile analizzare le regole della mitzwà delle quattro specie che si osserva di Sukkòt. Per poter compiere la mitzwà delle quattro specie (arba’a minìm o lulàv) durante il primo giorno di Sukkòt, esse devono essere di proprietà di chi compie la mitzwà. Lo Shulchàn ‘Arùkh spiega che si può compiere la mitzwà utilizzando le quattro specie di un’altra persona, se il proprietario, anziché prestarle semplicemente, ne trasferisce la proprietà al ricevente secondo la formula del “dono a condizione che venga restituito”.


Dato che, a differenza di un normale prestito, l’oggetto in questione diventa proprietà di chi lo riceve, questi può compiere la mitzwà.

Vi sono poseqìm che richiedono che anche nel caso dello tzitzìt tale accordo sia espresso esplicitamente, rendendo chiaro che si tratta di un trasferimento di proprietà e non di un semplice prestito.

Leggendo attentamente ciò che è scritto nello Shulchàn ‘Arùkh si nota però che nel caso del tallìt non viene menzionato il requisito di specificare che si tratti di una donazione e pertanto è da ritenere che lo Shulchàn ‘Arùkh si riferisce al caso in cui il tallìt viene prestato senza alcuna dichiarazione al riguardo. Da quanto detto, ciò non sembrerebbe sufficiente a trasferire la proprietà. Come si spiega che lo Shulchàn ‘Arùkh prescrive invece di recitare la berakhà?

I commentatori spiegano che chi “presta” il tallìt per far compiere la mitzwà a un’altra persona, come ad esempio per indossarlo durante la tefillà di shachrìt, anche in assenza di una dichiarazione esplicita, intende fare tutto quanto sia necessario affinché il ricevente possa compiere la mitzwà. Lo stesso vale per chi riceve il tallìt. E dato che il compimento della mitzwà può avvenire solo se la proprietà viene trasferita al ricevente, l’intenzione di voler far compiere la mitzwà è equivalente all’intenzione di effettuare un “dono a condizione che venga restituito”, perché solo in questo modo il ricevente può compiere la mitzwà.

Si comprende quindi cosa intende lo Shulchàn ‘Arùkh quando dice che è sufficiente “prestare” il tallìt senza bisogno di menzionare esplicitamente a che titolo lo si “presta”. Anche se idealmente è preferibile dirlo esplicitamente, il semplice “prestito” è sufficiente per permettere il trasferimento implicito della proprietà necessario per il compimento della mitzwà. Pertanto con un semplice “prestito” del tallìt dotato di tzitziòt il ricevente può compiere la mitzwà e recita quindi la relativa berakhà quando lo indossa.


Riepilogo halakhico: se un tallìt è dotato di tzitzìt, il semplice “prestito” comporta il trasferimento della proprietà e permette quindi sia il compimento della mitzwà che la recitazione della berakhà. È preferibile però specificare che si tratta di un dono a condizione che venga restituito.


È stato menzionato in precedenza che quando si presta un tallìt privo di tzitzìt lo Shulchàn ‘Arùkh afferma che chi lo prende in prestito non compie la mitzwà e quindi non recita la berakhà. Perché il caso di un tallìt che non è dotato di tzitziòt è diverso da quello di un il tallìt che li ha? Perché anche in questo caso non avviene il trasferimento di proprietà con il semplice prestito?

Per rispondere a questa domanda bisogna considerare che per compiere la mitzwà dello tzitzit è necessario che l’indumento venga indossato da un uomo e che venga usato per vestirsi. Nel caso in cui il tessuto a quattro angoli sia utilizzato da un uomo in modo diverso, per esempio come coperta da letto o venga indossato da una donna che è esente dalla mitzwà, poiché non si compie una mitzwà il tessuto non richiede tzitziòt.

Pertanto, se al momento del prestito l’indumento non è dotato di tzitziòt, dato che potrebbe non essere utilizzato come vestito, non vi è certezza che il prestito venga effettuato per compiere la mitzwà dello tzitzìt. Per questo motivo non si può presumere che avvenga un trasferimento di proprietà. E poiché non avviene un trasferimento di proprietà non vi è obbligo di apporre gli tzitziòt; pertanto chi appone degli tzitziòt all’indumento non deve recitare la berakhà quando lo indossa.

Tale halakhà si riferisce a un normale tessuto a quattro angoli privo di tzitzìt che ai tempi della Ghemarà e dello Shulchàn ‘Arùkh si usava indossare anche come abito normale. Nel caso in cui si presti l’indumento specifico che si usa oggigiorno per la mitzwà dello tzitzìt, sia esso il tallìt gadòl o il tallìt qatàn, dato che viene utilizzato solo per il compimento della mitzwà e non per altri scopi, è da ritenere che anche se sprovvisto di tzitzìt, chi lo presta lo faccia con l’intenzione di permettere il compimento della mitzwà. E pertanto anche nel caso del prestito di un tallit privo di tzitzìt è necessario apporvi gli tzitziòt e recitare la berakhà quando lo si indossa.


Riepilogo halakhico: oggigiorno se si riceve a prestito un tallìt senza tzitzìt, dato che esso viene utilizzato solo per compiere la mitzwà, è necessario apporvi gli tzitziòt e recitare la berakhà quando lo si indossa. Anche in questo caso è preferibile però specificare che si tratta di un dono a condizione che venga restituito.


Tallìt preso in prestito senza il permesso del proprietario

L’autore dello Shulchàn ‘Arùkh scrive che “è permesso prendere a prestito il tallìt [dotato di tzitziòt] che appartiene ad un’altra persona [senza che questi lo sappia] e recitare la berakhà a condizione che [chi l’ha preso a prestito] lo ripieghi [e lo restituisca] come l’ha trovato” (Orach Chayìm, 14:4).

Oltre alla domanda generale sul perché sia lecito prendere a prestito un oggetto che appartiene a un’altra persona senza il suo permesso, va anche spiegato per quale motivo a differenza di quanto detto sopra, non ci sia bisogno che il proprietario presti il tallìt con la specifica intenzione che il ricevente compia la mitzwà.

L’autore del commento Mishnà Berurà allo Shulchan ‘Arùkh spiega che in questo caso vale il principio secondo il quale “le persone sono liete che si compia una mitzwà con i propri beni”. In altre parole, il merito della mitzwà compiuta con un oggetto altrui è riconducibile non solo a chi la compie, ma anche a chi fornisce l’oggetto con il quale viene compiuta la mitzwà. E dato che la mitzwà può essere compiuta solo se avviene il trasferimento della proprietà, anche senza dare il consenso esplicito il proprietario è disposto a trasferire la proprietà a chi vuole compiere la mitzwà. Si risponde così ad entrambe le domande fatte sopra: è lecito prendere a prestito senza il permesso del proprietario perché nello stesso tempo avviene il trasferimento implicito della proprietà.

L’autore della Mishnà Berurà specifica però che quanto detto sopra vale in circostanze estremamente limitate, ovvero solo nel caso in cui siano rispettate le seguenti condizioni: (i) che il prestito avvenga una tantum e non su base regolare; (ii) che la mitzwà venga compiuta nel luogo in cui si trova il tallìt e non altrove (per esempio al bet ha-kenèsset, ma non se il tallìt si trova nel cassetto privato del proprietario); (iii) che non vi è modo di chiedere permesso al proprietario; (iv) non vi sia

alternativa per compiere la mitzwà; e (v) che il proprietario non sia contrario.

Trattandosi di una presunzione di passaggio di proprietà molto debole e dipendente da molti fattori che mettono in dubbio sia la liceità del prestito e trasferimento di proprietà che la recitazione della berakhà, i poseqìm suggeriscono di fare il possibile per evitare di trovarsi in questa situazione.


Riepilogo halakhico: nel caso in cui non ci fosse alternativa, è possibile prendere a prestito il tallìt senza il permesso del proprietario secondo i criteri indicati sopra e recitare la berakhà, ma è opportuno fare il possibile per evitare di trovarsi in questa situazione.


Il proprio tallìt indossato per onorare il pubblico

Dal versetto “Ti farai dei fili intrecciati ai quattro angoli del tuo vestito, con il quale ti coprirai” (Devarìm, 22:12) impariamo un secondo principio, oltre al requisito di proprietà visto sopra: affinché si osservi la mitzwà è necessario che l’indumento compia la funzione di vestito e non che sia semplicemente indossato. Per esempio, se si indossa un indumento non per coprirsi o per scaldarsi, ma solo per provarne la misura, esso non compie la funzione normale di vestito e non è quindi necessario apporvi gli tzitziòt.

È uso che quando un uomo viene chiamato alla lettura della Torà indossa il tallìt per onorare il pubblico (likhvòd ha-tzibbùr). Lo stesso vale, per esempio, quando a qualcuno viene chiesto di condurre la tefillà come shalìach tzibbùr (chazzàn), quando i kohanìm recitano la birkat kohanìm, e quando vengono recitate le berakhòt ad un berìt milà.

L’autore della Mishnà Berurà spiega che vi sono poseqìm che ritengono che se si indossa un tallìt solo per onorare il pubblico, il tallìt non compie la funzione di vestito; pertanto non si compie la mitzwà dello tzitzìt e non si recita la berakhà. Altri poseqìm invece ritengono che questo faccia parte del modo normale di indossare un capo di vestiario; pertanto chi lo indossa compie la mitzwà dello tzitzìt e deve quindi recitare la berakhà.

Per risolvere il dubbio, è consigliabile indossare il tallìt non solo per onorare il pubblico e di indossarlo per un po’ di tempo prima del compito onorifico o anche dopo. In questo modo si indossa il tallìt come si indossa un capo di vestiario e non per un altro scopo e secondo le opinioni di tutti i poseqìm si compie la mitzwà di indossare un capo di vestiario dotato di tzitziòt.


Riepilogo halakhico: quando si indossa il proprio tallìt per onorare il pubblico è consigliabile indossarlo per un periodo aggiuntivo. Il tallìt va indossato quindi come si fa normalmente quando si compie la mitzwà, avvolgendolo attorno al capo e alle spalle recitando la berakhà.


Tallìt preso in prestito per onorare il pubblico

Se anziché usare il proprio tallìt si prende in prestito il tallìt di un’altra persona con lo scopo di onorare il pubblico, al problema visto sopra se onorare il pubblico costituisca o meno mitzwà, se ne aggiunge un altro. Chi presta il tallìt non lo fa per permettere il compimento della mitzwà del tzitzìt, ma solo per permettere al ricevente di onorare il pubblico. In assenza di mitzwà, non si può asserire che il semplice prestito comporti un trasferimento di proprietà. E non essendo di proprietà, nemmeno indossando il tallìt per un periodo aggiuntivo si è certi di compiere la mitzwà.

Dato che vi sono poseqìm che ritengono che vada recitata la berakhà e altri che non lo permettono, si è in dubbio su come comportarsi. In questi casi la regola è di astenersi dal recitare la berakhà in ottemperanza al principio “safèq berakhòt lehaqèl”, ovvero di essere facilitanti in caso di dubbio e non recitare la berakhà.


Riepilogo halakhico: se si prende a prestito un tallit per onorare il pubblico, dato che non è certi che si compia la mitzwà, non si recita la berakhà. È preferibile quindi prendere in prestito il tallit con la chiara intenzione di non volerne acquisire la proprietà.


Tallìt comunitario indossato per compiere la mitzwà

Nel terzo brano dello shemà è scritto “farete per voi degli tzitzìt agli angoli dei vostri vestiti” (Bemidbàr, 15:38). La ripetizione del requisito di proprietà, e in particolare in forma plurale, indica che la mitzwà dello tzitzìt sussiste non solo quando l’indumento è di proprietà esclusiva di chi lo indossa (“ai quattro angoli del tuo vestito”), ma anche in caso che sia di proprietà comune (“agli angoli dei vostri vestiti”).

Il tallìt di proprietà del bet ha-kenèsset è proprietà comune dei membri della comunità. Un membro della comunità che ne fa uso indossa un tallìt che è già suo e non è quindi necessario che avvenga un trasferimento di proprietà come nei casi trattati in precedenza.

Inoltre, anche nel caso in cui chi fa uso del tallìt che appartiene alla comunità non sia membro di quella comunità e non sia quindi comproprietario del tallit, è da ritenere che il tallìt venga comunque messo a disposizione del pubblico proprio per permetterne l’uso a chiunque ne abbia bisogno.


Riepilogo halakhico: chi utilizza un tallìt che appartiene alla comunità per compiere la mitzwà dello tzitzìt recita la berakhà.


Tallìt comunitario indossato per onorare il pubblico

Nel caso in cui si voglia utilizzare il tallìt che appartiene alla comunità per onorare il pubblico, trattandosi di una comproprietà e non essendoci quindi il problema del trasferimento della proprietà, molti poseqìm ritengono che si reciti la berakhà quando lo si indossa in modo simile a quanto si fa quando si indossa il proprio tallìt per onorare il pubblico36.

Altri poseqìm invece ritengono che vi siano dei motivi che rendono il caso differente da quello di chi indossa il proprio tallìt. Oltre al dubbio se si compia o meno la mitzwà dello tzitzìt quando si indossa il tallìt per onorare il pubblico, vi sono altri dubbi.

Per evitare di porsi in una situazione di dubbio è preferibile che, al momento in cui il tallìt viene messo a disposizione del pubblico, esso venga dato ai gabbaìm del bet ha-kenèsset e che essi stipulino di autorizzare il trasferimento della proprieta del tallit solo per compiere la mitzwà dello tzitzìt. Mentre nel caso in cui lo si voglia utilizzare per onorare il pubblico i gabbaim non ne permettono il trasferimento della proprietà. Secondo questi poseqìm, il minhàg (uso basato su fonti halakhiche) è di non recitare la berakhà.


Riepilogo halakhico: nel caso in cui si utilizzi il tallìt comunitario per onorare il pubblico, secondo alcuni poseqìm si recita la berakhà. Secondo altri non la si recita. Si chieda al proprio Rav come comportarsi.


Conclusioni


Compimento della mitzwà. È bene acquistare un tallìt per essere certi di compiere la mitzwà e poter recitare la berakhà evitando una serie di potenziali circostanze di dubbio. Nel caso in cui si debba prendere un tallìt in prestito per compiere la mitzwà è permesso farlo, ma è preferibile specificare che si tratta di un dono a condizione che venga restitutito e si reciti la berakhà. È consigliabile evitare di prendere in prestito un tallìt senza il permesso del proprietario. Anche nel caso in cui si prenda a prestito un tallit comunitario si recita la berakhà.


Onorare il pubblico. Se si indossa il proprio tallìt per onorare il pubblico si recita la berakhà. Se si prende a prestito il tallìt di un’altra persona non si recita la berakhà ed è anche preferibile intendere di non volerne acquisire la proprietà. Nel caso di tallìt comunitario c’è chi usa recitare la berakhà e chi no.

Studio della Torà. In termini generali, da questo articolo si comprende che per poter compiere le mitzwòt in modo corretto è necessario studiare l’halakhà con un certo grado di profondità per potersi rendere conto dei vari aspetti della mitzwà. Dice infatti la Ghemarà “grande è lo studio perché conduce al compimento delle mitzwòt” (Qiddushìn, 40b).

Come primo passo, la conoscenza permette di poter chiedere ad un Rav competente delucidazioni sul modo corretto di compiere le mitzwòt. In assenza di tale conoscenza non ci si renderebbe nemmeno conto delle problematiche.

Il passo successivo, ma ben più lungo, è quello di poter studiare autonomamente le fonti per capire come comportarsi. Ma ciò va sempre fatto con la supervisione di un Rav. È importante notare però che lo studio della Torà va ben al di là dell’esigenza di sapere come comportarsi nella pratica. Lo studio approfondito oltre ad essere fonte di gran soddisfazione per chi vi si impegna, è anche l’attività suprema che caratterizza la nostra vita di ebrei.

Il Midràsh (Yalkùt Shim’onì, Mishlè, 934) spiega infatti che quando la nota Mishnà (Peà, 1:1) dice “talmud torà keneged kulam”, (lo studio della Torà è il contraltare dell’osservanza di tutte) essa non si riferisce solo alle mitzwòt citate in quella mishnà che comportano un benefico sia in questo mondo che in quello futuro, ma che un devar Torà, ovvero un pensiero di Torà, vale ben più dell’osservanza di tutte le mitzwòt della Torà.

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