IL MET MITZWÀ
Anche i cadaveri di chi è morto tra gli ostaggi è importante portarli a casa
IL MET MITZWÀ
Articolo di Deborah Cohenca Klagsbald
Introduzione
È scritto in un versetto: "[… ] Lo dovrai seppellire in quello stesso giorno
[…]" (Devarìm, 21:23). Il versetto comanda al Bet Din di seppellire il
cadavere di una persona giustiziata il giorno stesso dell’esecuzione, ma,
come scrive il Rambam2, il precetto riguarda ogni defunto ebreo, per il
quale, salvo eccezioni3, non bisogna posticipare la sepoltura dopo il
giorno del decesso. La Torà manifesta una singolare preoccupazione per
la dignità di un defunto; i numerosi dettagli delle norme sulla sepoltura
hanno lo scopo di preservare la dignità di un morto e onorarlo. Questo
articolo non entrerà nel dettaglio di tutte queste norme ma si soffermerà
sulle principali halakhòt che riguardano la sepoltura di una persona
defunta che non ha parenti che se ne possano occupare.
2 Mishnè Torà, Hilkhòt Sanhedrin (15:8).
3 È permesso posticipare la sepoltura in onore del morto o per far sì che i
parenti abbiano tempo di arrivare a partecipare al funerale (S.A., Y.D., 357:1).
Che cos’è il met mitzwà
Nella Torà (Devarìm, 21:23) è enunciato il precetto di seppellire un morto
lo stesso giorno del decesso; questo precetto si applica anche a un met
mitzwà, riguardo al quale però vigono ulteriori obblighi particolari, che
mostrano la particolare attenzione che va manifestata nei suoi confronti.
L’espressione met mitzwà significa lett. “morto di mitzwà”, e
indica un defunto (ebreo) che non abbia parenti che si occupino della sua
sepoltura. Il Bet Yosèf (Commento di Rav Yosef Caro, 1488-1575, sul
codice giuridico Arba'à Turìm) in Yorè De’à 374:3, cita Nachmanide4 (Toràt Haadàm, Ed. Mossad Harav Kook, p. 129) e il Rosh5 (Hilkhòt Tumà cap.
2) che definiscono il met mitzwà come un corpo di un deceduto che è
stato trovato su una strada o in una città abitata da non-ebrei dove non
c’è nessuno che seppellisca il corpo.
Il Talmud Babilonese, in Meghillà (3b), riporta l’opinione
dell’amorà Ravà secondo il quale il motivo della devozione che deve
essere mostrata a un corpo abbandonato è il principio del kevòd
haberiyòt (dignità delle creature), che esprime la necessità di preservare
la dignità umana dimostrando il giusto rispetto per le creature di D.
4 Acronimo di Moshè ben Nachmàn (1194-1270).
5 Acronimo di Rabbenu (o Rabbi) Asher, come era chiamato Asher ben Yechiel
(1250 circa-1327).
Chi ha l’obbligo di occuparsi del met mitzwà
L’obbligo di occuparsi di un met mitzwà affinché abbia una degna
sepoltura ricade su chiunque trovi il corpo, anche se questo comporta
una perdita di denaro, il mancato compimento o la posticipazione di altre
mitzwòt (analizzeremo questo aspetto più avanti) e il fatto di rendersi
impuri6, e ricade anche sulle categorie di persone alle quali solitamente
è proibito rendersi impure per il contatto con un defunto. Fra queste
spiccano il kohèn e ai tempi del Bet Ha-Miqdàsh anche il kohèn gadòl e il
nazireo.
Riguardo al kohèn, la regola generale è che non può rendersi
impuro per occuparsi di un defunto; anche ai nostri tempi deve sottostare
a determinate limitazioni per quanto riguarda entrare in un cimitero e
partecipare a un funerale. La norma si ricava dalla parashà di Emòr
(Wayqrà, 21:1), dove è scritto a proposito del kohèn: “Nessun [kohèn]
potrà rendersi impuro [per un defunto] nel suo popolo”7.
Un’eccezione a questa norma è che un kohèn può rendersi
impuro per seppellire i sette parenti più stretti (il padre, la madre, il
fratello, la sorella non sposata, il figlio, la figlia e la moglie, vedi Wayqrà,
21:2). Tuttavia per un met mitzwà un kohèn non solo può, ma deve
rendersi impuro. Nell'interpretare il versetto di Wayqrà (21:1) riportato
sopra, Rashì cita il Midràsh e spiega che mentre il defunto è “nel suo popolo”, il kohèn non deve rendersi impuro tuttavia, è obbligato a farlo
per un met mitzwà.
Rashì spiega che l’espressione “nel suo popolo” implica che il
divieto espresso nel nostro versetto si applica solo a una persona defunta
che si trovi “nel suo popolo”, ossia che abbia qualcuno che si occupi della
sepoltura; il corpo è definito “abbandonato”, e non “nel suo popolo”, se,
nel luogo in cui è stato ritrovato, non c'è nessun ebreo a cui rivolgersi che
possa rispondere e occuparsi adeguatamente della sepoltura. In questo
caso, il kohèn è tenuto a occuparsene in prima persona e diventare
impuro. Gli è vietato spostare il defunto o allontanarsene, anche se per
recarsi in una città per trovare altre persone che si prendano cura del
defunto, e deve eseguire personalmente la sepoltura8.
Il kohèn gadòl aveva delle restrizioni in più rispetto a un kohèn
ordinario, in funzione del suo particolare servizio e ruolo; gli era proibito
rendersi impuro anche per seppellire i parenti più stretti9. Eppure, perfino
lui era tenuto a occuparsi in prima persona di un met mitzwà10.
Il momento saliente del servizio del kohèn gadol era il servizio del
giorno di Kippùr, nel quale egli doveva chiedere espiazione per sé e per
tutto il popolo (vedi Wayqrà, 16:17); dunque il perdono di D. a tutto il
popolo dipendeva da questo servizio. Il kohèn gadòl poteva compiere il
servizio solo se era in stato di purità. Il processo di purificazione da una
condizione di impurità contratta dal contatto con un corpo morto
richiedeva un’attesa di sette giorni, con alcune procedure comandate in
Bemidbàr (19:19). Se il kohèn gadòl si fosse imbattuto in un met mitzwà
anche nei giorni immediatamente precedenti il giorno di Kippùr, doveva
occuparsi della sepoltura, anche se non c’era il tempo necessario per
purificarsi; in questa situazione sarebbe stato sostituito da un altro kohèn
che avrebbe svolto le sue funzioni durante il giorno di Kippùr. Questo ci
fa capire l’importanza che la Torà conferisce al precetto di seppellire un
corpo abbandonato.
Un’altra categoria di persone che sono tenute a seppellire un met mitzwà
in deroga alle norme che le riguardano è quella del nazireo, che non può
rendersi impuro neanche per seppellire i parenti stretti11.
6 Ci si riferisce a quella impurità che si può contrarre in diverse situazioni, tra
cui il contatto con un corpo morto (vedi Wayqrà, 19:11).
7 I dettagli della norma sono discussi nella Mishnà, Trattato Tahoròt.
8 Vedi Shulchàn ‘Arùkh, Yorè De’à (374:3).
9 Rambam, Hilkhòt Evel (3:6).
10 Rambam, Hilkhòt Evel (3:8); Tur e Shulchàn ‘Arùkh, Yorè De’à (374:1).
11 Ibid
Dove deve essere sepolto il met mitzwà
Nel Talmud Babilonese, Bavà Qammà (81a), si elencano dieci condizioni
che pose Yehoshù’a nel dividere la Terra d’Israele fra le tribù; una di
queste era che un met mitzwà “acquisisce il luogo della sua sepoltura”,
ossia che deve essere seppellito nel luogo in cui è stato trovato (Rashì)12.
Tuttavia, l'autore del commento Siftè Kohèn allo Shulchàn 'Arùkh nota che
la pratica comune è quella di seppellire il corpo in un cimitero, sia nella
Terra d’Israele sia nella diaspora13.
12 Vedi anche Rambam, Hilkhòt Nizqè Mamòn (5:3).
13 Rambam, Hilkhòt Nizqè Mamòn (5:3); Shulchàn ‘Arùkh, Yorè De’à (364:3).
R. Feivel Cohen, nel suo commento Badè Ha-Shulchàn, citando Siftè Kohèn scrive: Il
motivo per cui oggi non si usa praticare queste regole per il met mitzwà dipende dal
fatto che la terra non ci appartiene e non abbiamo il permesso di seppellire in
qualunque posto; e anche se lo seppellissimo colà c'è da temere che gli idolatri lo
estraggano per spogliarlo dei suoi vestiti [...] e pertanto lo si porta all'apposito cimitero
(ringrazio Donato Grosser per la segnalazione).
I precetti sui quali il met mitzwà ha la precedenza
Se il kohèn gadòl o un nazireo stanno andando a offrire il sacrificio di
Pèsach, oppure se stanno andando a circoncidere il figlio, e lungo la
strada trovano un met mitzwà, devono dare la precedenza alla sepoltura
di quest’ultimo14. Da questa norma impariamo che l’obbligo di prendersi
cura del met mitzwà non solo mette da parte il precetto negativo di non
rendersi impuri, come abbiamo visto, ma prevale anche su altri
comandamenti positivi, come il sacrificio di Pèsach e la circoncisione del
proprio figlio.
Come abbiamo visto sopra riguardo al kohèn gadòl, il met mitzwà
ha la precedenza sul servizio nel Bet Ha-Miqdàsh (TB, Meghillà 3b).
Nel Talmud si discute anche sull’ordine di precedenza tra la
lettura della Meghillà e altre mitzwòt. Sebbene la lettura della Meghillà
abbia la precedenza su altri precetti, occuparsi della sepoltura di un met mitzwà ha la priorità su di essa15. Tuttavia alcuni sostengono che, se non
vi è la possibilità di leggere la Meghillà in un momento successivo, la
lettura della Meghillà ha la priorità (Remà); altri sostengono invece che
in ogni caso la sepoltura del met mitzwà ha la precedenza (Taz16, Maghèn
Avrahàm17).
Il Tur (Yorè De'à, cap. 360) tratta dell’ordine di precedenza
riguardo al precetto di rallegrare gli sposi celebrando il matrimonio, e dice
che, in circostanze normali, rallegrarsi con gli sposi ha la precedenza sulla
sepoltura dei morti quando la sepoltura può essere eseguita in un
secondo momento, ma il met mitzwà ha la precedenza su tutto.
Non c'è mitzwà più importante dello studio della Torà18 come è
scritto nel Talmud: “Non c’è altro bene che la Torà” (Berakhòt, 5a).
Nessun’altra mitzwà può essere equiparata allo studio della Torà poiché
lo studio conduce all’azione; di conseguenza, esso ha la precedenza su
qualsiasi azione19. Nonostante lo studio sia fondamentale, lo si deve
interrompere per accompagnare un morto alla sepoltura20 (la norma
riguarda qualsiasi defunto, non solo – ma a maggior ragione – il met
mitzwà).
Nella sua spiegazione in Yorè De’à il Tur conclude: “Non c’è
assolutamente nulla nell’intera Torà che abbia la precedenza sul met
mitzwà”.
14Rambam, Hilkhòt Evel (3:8); Tur e Shulchàn ‘Arùkh, Yorè De’à (374:1).
15 Shulchàn 'Arùkh (Orach Chayìm, 687:2).
16 David ha-Levi Segal (circa 1586-1667), conosciuto anche come il Turè Zahàv
(abbreviato in ”Taz”) dal titolo del suo commentario halakhico sullo Shulchàn ‘Arùkh.
17 Commentario di R. Avraham Gombiner (1635-1682) su Òrach Chayìm.
18 Talmud, Mo’èd Qatàn 9b, Rambam (Talmùd Torà, 3:4).
19 Rambam, Talmùd Torà (3:3).
20 Shulchàn ‘Arùkh, Yorè De‘à (361:1).
Conclusione
La particolare attenzione che bisogna avere nei confronti dei defunti, e
del met mitzwà in particolare, si ricava anche dalla seguente prassi. Gli
oggetti sacri che si definiscono tashmishè qedushà21, una volta divenuti
inutilizzabili devono essere sotterrati (messi in ghenizà); queste categorie
di oggetti sono ad esempio libri sacri e ciò che li contiene, tefillìn e
mezuzòt. Il Talmud Babilonese, in Meghillà 26b, riporta l’opinione di Mar
Zutrà sui drappi dei Sifrè Torà che si sono logorati: secondo questo
Maestro vengono utilizzati come sudario per un met mitzwà, e questo è
il modo appropriato per metterli in ghenizà. Così è codificato nello
Shulchàn 'Arùkh (O.C., 154:4).
R. David Tzvi Hoffman nella sua opera di responsi Melamèd
Leho’il22 (parte 1, Òrach Chayìm, responso 18) spiega il motivo: le
coperture di oggetti che hanno qedushà non possono essere utilizzate per
scopi profani e ad uso di una persona vivente, ma con la morte, una
persona ha espiato i suoi peccati, e quindi può essere ricoperta dai manti
sacri.
Nel suo libro delle tefillòt quotidiane riccamente annotato, R.
Joseph Hertz23 spiega che prendersi cura dei defunti è “il più
disinteressato di tutti gli atti di bontà, poiché mostra la massima riverenza
verso l’umanità di un uomo”. (Questa è anche la funzione della Chevrà
Qadishà delle comunità ebraiche, che si occupa delle procedure relative
alla sepoltura). Riguardo alla mitzwà di prendersi cura in particolare di un
met mitzwà, molti notano che, non avendo il defunto parenti, nessuno
ringrazierà mai chi se ne occupa, e, anche per questo, è definita “la
mitzwà più grande di tutte”.
21 Lett. “oggetti per uso di qedushà”. Sono gli oggetti che servono per
compiere una mitzwà e che possiedono una qedushà intrinseca; questi oggetti vanno
trattati e maneggiati con particolare cura e rispetto.
22 Pubblicati a Frankfurt nell'anno 1926 dalla casa editrice Charmon. Rabbi
David Zvi Hoffmann (1843-1921) fu capo del Rabbinical Seminary di Berlino
23 Joseph Herman Hertz (1872-1946), fu rabbino capo del Regno Unito.
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