I LUMI DI CHANUKKÀ NEL BET HA-KENÈSSET
SUL MINHÀG DI ACCENDERE I LUMI DI CHANUKKÀ NEL BET HA-KENÈSSET
Donato Grosser
Durante gli otto giorni di Chanukkà ringraziamo l’Eterno nelle tefillòt (preghiere) e nella berakhòt (benedizioni) dopo il pasto inserendo il brano che inizia con le seguenti parole: “Per i miracoli, per gli atti di valore, per le vittorie, per le guerre, per la liberazione, per il riscatto che hai operato per noi e per i nostri padri, nei tempi antichi in questi giorni...”. Cosa avvenne nei tempi antichi?
Il background storico di Chanukkà
Dopo la morte di Alessandro Magno nel 323 a.E.V., il suo regno venne diviso tra i suoi generali. Nell’anno 312, il generale Seleuco assunse il regno dell’Asia che comprendeva la Siria e la terra d’Israele. Otto generazioni più tardi nell’anno 175 a.E.V. salì al trono Antioco IV Epifane. Nel primo Libro degli Asmonei viene raccontato che le disgrazie iniziarono per mano di israeliti ellenisti che “presero l'iniziativa e andarono dal re, che diede loro facoltà di introdurre le istituzioni dei
pagani”.
Nell’anno 169 a.E.V., dopo aver sconfitto l'Egitto, Antioco IV Epifane si diresse contro Israele e mosse contro Gerusalemme con forze ingenti. Entrò nel Bet Ha-Miqdàsh e ne portò via gli arredi e ogni cosa preziosa. Due anni dopo, il re Antioco ordinò ad Apollonio, esattore del tributo, di distruggere Gerusalemme.
Apollonio “Mise a sacco la città, la diede alle fiamme e distrusse le sue abitazioni e le mura intorno e trasse in schiavitù le donne e i bambini. [...] Poi il re prescrisse con decreto a tutto il suo regno, che tutti formassero un sol popolo e ciascuno abbandonasse le proprie leggi. [...] Anche molti israeliti accettarono di servirlo e sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato. Il re spedì ancora decreti per mezzo di messaggeri a Gerusalemme e alle città delle Giudea, ordinando di seguire usanze straniere al loro paese, di far cessare nel Bet Ha-Miqdàsh gli olocausti, isacrifici e le libazioni, di profanare i sabati e le feste e di contaminare il santuario e i fedeli, di innalzare altari, templi ed edicole e sacrificare carni suine e animali immondi, di lasciare i propri figli non circoncisi [...] pena la morte a chiunque non avesse agito secondo gli ordini del re”.
La rivolta ebraica ebbe inizio quando vennero nella città di Modi’in i messaggeri del re, incaricati di costringere all'apostasia. Molti israeliti andarono da loro. Mattatià e i suoi figli, Yochanàn, Shim’òn, Yehudà, El’azàr e Yonatàn, stettero da parte e rifiutarono di partecipare ai riti pagani.
Quando un israelita si avvicinò all’altare per fare sacrifici pagani come ordinato dal re, Mattatià lo uccise e così fece con il messaggero del re. Fatto questo disse “Chiunque ha zelo per la legge e vuol difendere l'alleanza mi segua!” e fuggì con i suoi figli sulle montagne.
Dopo tre anni di guerra, Yehudà, che era il comandante dell’esercito, riuscì a liberare Gerusalemme. “Trovarono il Bet Ha- Miqdàsh desolato, l'altare profanato, le porte arse e l’erba cresciuta nei cortili come in un luogo selvatico o montuoso, e gli appartamenti sacri in rovina”[...] “Restaurarono il santuario e consacrarono l'interno del Bet Ha-Miqdàsh e i cortili; rifecero gli arredi sacri e collocarono la menorà (la lampada a sette braccia) e il mizbèach ha-qetòret (l'altare degli incensi) e lo shulchàn del lèchem ha-panìm (la tavola del pane di presentazione) nel Bet Ha-Miqdàsh. Poi bruciarono incenso sul mizbèach e accesero i lumi che splendettero nel Miqdàsh. Posero i pani sulla tavola e stesero le cortine. Così portarono a termine le opere intraprese. Si radunarono il mattino del venticinque del nono mese, cioè il mese di Kislèv, [nell'anno 164 a.E.V.] e offrirono il sacrificio secondo la legge sul mizbèach ha-‘olà (l’altare degli olocausti) che avevano rinnovato. [...] Celebrarono la dedicazione del mizbèach per otto giorni e offrirono olocausti con gioia e offrirono sacrifici di ringraziamento e di lode”.
Dopo la restaurazione del servizio nel Bet Ha-Mikdàsh la guerra con i re seleucidi continuò per molti anni. Yehudà e suo fratello Yonatàn
morirono in battaglia. Shim’òn assunse il comando nell’anno 143 a.E.V. e nell’anno 140 a.E.V. fu acclamato re e sommo sacerdote.
Successivamente quando Antioco VII richiese a Shim’òn la restituzione di territori da lui conquistati al di fuori della Giudea minacciando di fare guerra, Shim’on rispose:
Non abbiamo occupato terra straniera né ci siamo impossessati di beni altrui ma dell'eredità dei nostri padri, che fu posseduta dai nostri nemici senza alcun diritto nel tempo passato. Noi, avendone avuta l'opportunità, abbiamo ricuperato l'eredità dei nostri padri.
Giuseppe Flavio scrive che dopo questo episodio Shim’òn “condusse in pace il resto della sua vita e fece anche un patto con i Romani” (Antichità Giudaiche, Libro XIII- cap. VII-3).
Le mitzwòt istituite dai maestri per celebrare Chanukkà
Il Maimonide nel Mishnè Torà (Hilkhòt Chanukkà) scrive: “Ai tempi del secondo Bet Ha-Miqdàsh, i re greci perseguitarono Israele, abolirono la loro legge impedendo loro di studiare Torà e di osservarne le mitzwòt [i precetti], misero mano sulle loro proprietà e sulle loro figlie [con il jus primae noctis], entrarono nel Santuario, aprirono delle brecce e resero impure le cose pure. Fu un periodo di grandi sofferenze per Israele a causa delle persecuzioni, finché il D. dei nostri padri ebbe misericordia di loro, li salvò dalle loro mani e li protesse. I kohanìm ghedolìm (sommi sacerdoti) figli di Asmoneo prevalsero su di loro, li uccisero e salvarono Israele dalle loro mani; fecero regnare uno dei kohanìm e tornò l’indipendenza ad Israele per oltre duecento anni fino alla distruzione del secondo Bet Ha-Miqdàsh”.
Nel trattato Shabbàt (21b) del Talmud babilonese è scritto: “Qual è [la ragione di] Chanukkà? Rashì spiega che la domanda significa: “per quale miracolo stabilirono la festa di Chanukkà?”. [La risposta del Talmud è che] i nostri Maestri insegnarono: il venticinquesimo giorno del mese di Kislev iniziano i giorni di Chanukkà; sono otto giorni nei quali è proibito fare orazioni funebri e digiunare. Quando i greci entrarono nel Bet Ha-Miqdàsh contaminarono tutti i contenitori dell’olio per accendere la menorà e quando gli Asmonei prevalsero su di loro e li sconfissero, trovarono solo un contenitore di olio con il sigillo del kohèn gadòl, che era sufficiente per l'illuminazione di un solo giorno [oppure, secondo rav Achai Gaon: “che non bastava neppure per un giorno”]; eppure accadde un miracolo e con esso accesero la menorà per otto giorni. L'anno seguente questi [giorni] furono dichiarati giorni festivi con la recita dell’hallèl e tefillòt di ringraziamento”.
R. Shimshòn Nachmani (Modena, 1706-1778, Reggio Emilia) in Zera’ Shimshòn (p. 207) commenta che il motivo per l’accensione deI lumi di Chanukkà non è solo di pubblicizzare il miracolo dell’olio. L’accensioni dei lumi è un’allusione alla grande redenzione (yeshu’à) di Israele dai suoi nemici. Nel Midràsh (Bereshìt Rabbà, 2:4) riguardo al versetto “E vi era oscurità sulla faccia dell’abisso” (Bereshìt, 1:2), i maestri dicono che è un’allusione alla Grecia “che oscurò gli occhi di Israele con le sue persecuzioni”.
I greci cercarono di eliminare da Israele alcune delle principali mitzwòt come l’osservanza dello Shabbàt, la determinazione dei capi mese e la milà (circoncisione). Inoltre volevano che si incidesse sulle corna dei tori la frase “non abbiamo parte nel D. d’Israele”.
La vittoria sui greci fece sì che Israele passò dall’oscurità alla luce. Questo è il motivo per cui avvenne il miracolo dei lumi: in questo modo essi furono in grado di accendere la menorà. E questo è il motivo per cui si pubblicizza il miracolo principale della vittoria contro i greci accendendo i lumi di Chanukkà.
Dove i maestri stabilirono di accendere i lumi di Chanukkà
Nel Talmud babilonese (Shabbàt, 21b) è scritto che la mitzwà dell’accensione dei lumi di Chanukkà dev’essere osservata da ogni famiglia, accendendo i lumi al di fuori della porta di casa. Così veniva fatto quando gli ebrei risiedevano in Eretz Israel e in Mesopotamia fino al III secolo dell’Era Volgare.
R. Yigal Kamenetzky suggerì che il motivo per cui i maestri, al fine di pubblicizzare il miracolo, stabilirono l’accensione al di fuori della porta di casa e non nelle piazze, deriva dal tipo di persecuzioni alle quali gli ebrei furono soggetti quando si trovavano sotto il dominio dei seleucidi. Costoro imposero lo “ius primae noctis” e anche la pena di morte per chi chiudeva a chiave la porta di casa. I seleucidi, con questi decreti volevano distruggere la casa e la famiglia ebraica. Per questo motivo decisero di pubblicizzare il miracolo al di fuori delle porte di casa e non altrove.
Nello Shulchàn ‘Arùkh (O.C., 672:1) è scritto che i lumi vanno accesi dopo il tramonto, quando si vedono le prime stelle, e devono rimanere accesi per almeno mezz’ora. Di venerdì l’accensione va fatta prima del tramonto e prima dell’accensione dei lumi dello Shabbàt (che vengono accesi non più tardi di diciotto minuti prima del tramonto).
I lumi di Chanukkà devono essere accesi da ebrei adulti. L’accensione da parte di minori o di non ebrei non è valida.
Quando si iniziò ad accendere i lumi anche nel bet ha-kenèsset
Verso la fine del III secolo E.V. quando era al potere in Mesopotamia la dinastia Sassanide, i sacerdoti della religione di Zoroastro proibivano durante alcuni periodi dell’anno l’accensione del fuoco in qualunque posto altro che nei loro luoghi di culto. Quei giorni sono menzionati nel Talmud come “periodi di pericolo” nei quali i lumi di Chanukkà vengono accesi in casa anche sul tavolo.
Accendendo i lumi in casa non si poteva pubblicizzare in modo appropriato il miracolo di Chanukkà come veniva fatto quando le famiglie ponevano i lumi al di fuori della porta di casa di fronte alla mezuzà. Pertanto i Maestri istituirono il minhàg (uso) di accendere i lumi di Chanukkà anche nel bet ha-kenèsset.
Rabbi Yitzchàq bar Sheshet Perfet (Spagna, 1326-1408) detto il Rivash dalle sue iniziali, in uno dei suoi responsi (n. 111) spiega così:
Questo minhàg (uso) di accendere nel bet ha-kenèsset è un uso antico [introdotto] allo scopo di pubblicizzare il miracolo poiché non si poteva osservare la mitzwà nel modo prescritto “ognuno a casa sua” ponendo [la menorà] al di fuori della porta di casa come insegnato [nel Talmud babilonese, trattato Shabbàt, 21b]. Ora siamo assoggettati ai popoli e non possiamo osservare la mitzwà come prescritto. E poiché quando si accende all’interno della porta di casa non si pubblicizza il miracolo altro che alle persone di casa, [i Maestri] istituirono il minhàg di accendere nel bet ha-kenèsset. Tuttavia con questa accensione nel bet ha-kenèsset non si esce d’obbligo e bisogna accendere di nuovo a casa propria perché la mitzwà di Chanukkà è [di accendere il] lume, ognuno a casa sua.
Le berakhòt che si recitano nel bet ha-kenèsset
La prima sera di Chanukkà si recitano tre berakhòt: una sull’accensione dei lumi (lehadlìq ner s hel Chanukkà); la seconda per i miracoli che l’Eterno ha fatto ai nostri antenati in questo periodo dell’anno ai tempi degli Asmonei (she ‘assà nissìm la-avotènu); la terza, e solo nel primo giorno, è quella nella quale si benedice l’Eterno per averci concesso di arrivare vivi a questo giorno (she-checheyànu).
La prima sera di Chanukkà queste tre berakhòt si recitano sia a casa sia nel bet ha-kenèsset. R. Yishma’èl Hakohen (Laudadio Sacerdote) di Modena (1723-1811) scrisse che anche chi abbia già acceso il primo lume a casa e poi venga incaricato di
accenderlo nel bet ha-kenèsset per il pubblico recita nuovamente tutte e tre le berakhòt anche se di regola la berakhà di shechecheyànu la si recita solo la prima volta che si fa unamitzwà (Responsi Zera’ Emèt, O.C. 96).
L’accensione dei lumi in piazza
Nel sopraccitato responso del Rivash è scritto che si esce d’obbligo della mitzwà dell’accensione dei lumi solo a casa. Non si esce d’obbligo con l’accensione della menorà nel bet ha-kenèsset, e a maggior ragione con l’accensione della menorà in una piazza cittadina. Quest’ultima pratica, entrata di moda negli ultimi decenni, oltre a non servire ad uscire d’obbligo, è un’innovazione alla quale si oppongono quasi tutti i più importanti decisori contemporanei di halakhà.
Rav David Horowitz di Strasburgo nei responsi Qinyàn Torà, nel 1972, scrisse:
Riguardo alla novità di riunioni pubbliche dove vengono accesi i lumi di Chanukkà con la berakhà, il Sefer Hamanhìg, il Kol Bo e l’Eshkòl scrissero che l’accensione nel bet ha-kenèsset è un ricordo (zèkher) del Bet ha-Miqdàsh e pertanto la cosa può venire fatta solo nel bet ha- kenèsset o nel bet ha-midràsh che sono un miqdàsh me’àt (un piccolo miqdàsh) [...] La cosa è dimostrata anche dallo Shulchàn ‘Arùkh nelle glosse di R. Moshè Isserles che scrive: “e li mette in ordine da est a ovest” come si faceva con i lumi della menorà nel Bet Ha- Miqdàsh che erano allineati tra est e ovest. E anche nell’opera Sedè Chèmed (Ma’arèkhet Chanukkà, 24) è scritto che è giusto accendere nuovamente i lumi anche di mattina nel bet ha-kenèsset come veniva fatto con la menorà del Bet Ha-Miqdàsh. Da qui (impariamo) che (la cosa va fatta) solo nel bet ha-kenèsset a somiglianza di quello che veniva fatto nel Bet Ha-Miqdàsh [...]. La benedizione [per i lumi al di fuori del bet ha-kenèsset] è quindi una berakhà le-vatalà (una benedizione invano), poiché l’usanza venne istituita dai nostri maestri solo nel bet h a-kenèsset.
Un anno dopo, nel 1973, rav Yitzchàq Weiss di Gerusalemme, nella sua opera di responsi Minchàt Yitzchàq (65:3) scrisse:
Sulla questione se si possa dire la berakhà sui lumi di Chanukkà quando il pubblico e i giovani si riuniscono in una piazza cittadina, per pubblicizzare il miracolo, già i nostri Maestri ebbero difficoltà nel trovare un motivo per permettere di dire la berakhà nel bet ha- kenèsset come appare nei responsi del Rivash (n. 111) e nei responsi Chakhàm Zevi (n. 88). Pertanto come potremmo pensare di fare un’innovazione che non pensarono di fare i nostri Maestri? Inoltre i Maestri non approvano riunioni di questo tipo….
Rav Moshè Sternbuch di Gerusalemme, nei suoi responsi Teshuvòt Ve Hanhagòt (n. 398, 1992) scrisse:
Riguardo all’accensione dei lumi a un matrimonio dopo la preghiera di ‘arvìt, ho dato istruzioni che non si deva accendere con la berakhà. Questo perché l’accensione nel bet ha-kenèsset è un’innovazione [e un minhàg]. I posekìm discussero se sia permesso recitare una berakhà per un minhàg e conclusero di non andare oltre [al minhàg stesso]. Pertanto ci possiamo appoggiare solo su quello che è spiegato dai poseqìm e solo nel bet ha-kenèsset dove c’è un minyàn fisso. Invece dove il pubblico non è fisso e si aggrega provvisoriamente non stabilirono l’accensione con le berakhòt.
Rav Shemuel Halevi Wozner, autore dei responsi Shèvet Halevi (2001) scrisse (4: 65):
La mia modesta opinione è che [durante dei ricevimenti] non si deva recitare la berakhà (sui lumi di Chanukkà) perché già i poseqìm ebbero difficoltà nello spiegare come sia permesso recitare la berakhà nel bet ha-kenèsset. [...] Il minhàg fu stabilito solo nel bet ha-kenèsset dove vi è somiglianza all’accensione della menorà nel Bet Ha-Miqdàsh; [...] e per questo motivo è diventato uno dei sacri minhaghìm che si fanno nel bet ha-kenèsset e non vi è una base per aggiungere cose che non vi somigliano. Tutti i minhaghìm d’Israele furono stabiliti a seguito di motivi ben chiari a coloro che gli stabilirono, e poiché la questione in esame non corrisponde in modo preciso [al minhàg] non abbiamo autorizzazione di fare aggiunte...”.
R. Simchà Rabinowitz nella sua opera Pisqè Teshuvòt, pubblicata nel 2007, nella quale raccoglie e riassume tutta una serie di responsi, scrive:
Poiché al giorno d’oggi l’accensione dei lumi nel bet ha-kenèsset, quando tutti accendono a casa, è un’innovazione [istituita dai Maestri] siamo limitati a quello che hanno istituito e non si deve accendere con la berakhà [al di fuori di casa] altro che nel bet ha-kenèsset. Nelle riunioni, nelle assemblee e nei ricevimenti fatti sia all’interno sia all’aperto, non bisogna accendere i lumi di Chanukkà, e in ogni caso [se lo si fa] non bisogna recitare le berakhòt, anche se si recitano le tefillòt di minchà (del pomeriggio) e di ‘arvit (della sera).
Egli cita una sola opinione permissiva di R. Binyomin Zilber (1916-2008) nei responsi Az Nidberù (5:37) il quale scrive che nelle grandi assemblee dove si presume che vi siano giovani ebrei che non hanno acceso i lumi e non hanno partecipato a un’accensione, è permesso accendere con le berakhòt e in particolare se la cosa avviene all’aperto dove la pubblicizzazione del miracolo è più grande.
Queste decisioni halakhiche si riferivano a situazioni nelle quale delle persone ben intenzionate desideravano fare la mitzwà di accendere i lumi in piazza per attrarre l’attenzione di molti ebrei che non andavano nel bet-ha kenèsset. La pratica è tuttavia deteriorata al punto che, in molti paesi e in particolare in America, all’accensione dei lumi di Chanukkà viene invitato il sindaco non ebreo della città al quale viene offerta l’accensione del primo lume. E così invece di essere un modo per osservare la mitzwà istituita dai maestri, l’accensione in piazza viene fatta sia contro la lettera sia contro lo spirito della mitzwà ed è diventata un’occasione per fare relazioni pubbliche con le autorità politiche.
A New York, due tra i maggiori poseqìm americani, Rav Israel Belsky zz’l e rav Feivel Cohen, con i quali lo scrivente ha parlato di persona, hanno risposto che non si deve accendere la menorà in piazza. Cosi è pure riportato a nome di rav Moshè Feinstein zz’l. Rav Cohen ha detto tuttavia che l’accensione della menorà nel cortile di fronte al bet ha-kenèsset può essere considerata parte del minhàg e quindi potrebbe essere permesso accendere con la berakhòt.
Conclusione
Il Maimonide conclude la trattazione delle halakhòt della festa di Chanukkà (4:12) scrivendo: “La mitzwà del lume di Chanukkà è una mitzwà [a tutti noi] molto cara [chavivà] e bisogna eseguirla con attenzione per fare conoscere il miracolo e aggiungere lodi e ringraziamenti per i miracoli che [l’Eterno] ha fatto per noi. Perfino chi non ha abbastanza mezzi per mangiare e vive di tzedaqà (sussidi di beneficienza), deve prendere a prestito o vendere il suo abito per comprare olio e lumi e accenderli”.
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