Arte figurativa ebraica e musei nella Halakhà
Quando levi i tuoi occhi al cielo e vedendo il sole, la luna e le stelle e tutte le schiere dei cieli che l’Eterno ha assegnato a tutti i popoli non devi inchinarti a loro e adorarli (Devarìm, 4:15-19)
D. Grosser
Arte figurativa ebraica e musei nella Halakhà1
Introduzione
L’arte è un modo di esprimersi degli esseri umani che usando creatività e immaginazione producono oggetti utilitari di particolare bellezza o anche oggetti senza alcuna utilità altro che per l’ammirazione delle persone.
Un concetto che è difficile da definire è in cosa consista l’arte ebraica. È arte ebraica quella di artisti ebrei, oppure quella usata nel corso di attività legate alla vita ebraica, indipendentemente da chi ne sia l’autore? In questo scritto, per arte ebraica intenderemo ogni forma d’arte usata in ambiente ebraico.
Gli ebrei hanno prodotto oggetti d’arte da molti secoli. Questa produzione deriva anche dal concetto di hiddur mitzwà, cioè di abbellire le mitzwòt. I Maestri nel trattato Shabbàt (133b) insegnano: “In una baraytà è citato il versetto «Questo è il mio D., e lo adornerò» dal quale impariamo: adorna te stesso davanti a Lui [nell'adempimento dei] precetti. Fai un bella sukkà in Suo onore, prendi un bel lulàv, uno shofàr bello, dei tzitiziòt belli e un Sèfer Torà bello, scrivilo lishmò [per fare la mitzwà] con del bel inchiostro, con una bella penna e con un abile scriba, e avvolgilo con tessuti belli di seta”. Nel trattato Bavà Qamà (9b) è detto che per abbellire la mitzvà è permesso spendere fino a un terzo di più del prezzo normale.
Nell’arte architettonica parlando del Bet Ha-Miqdàsh restaurato dal re Erode, i Maestri dissero: “Chi non ha visto l’edificio di Erode non ha mai visto in vita sua un bel edificio. Come fu costruito? Rabba disse: di marmo giallo e bianco. Alcuni dicono, di blu, giallo e marmo bianco a file alternate, una fuori e una dentro, per lasciare spazio al cemento. Originariamente intendeva coprirlo d'oro, ma i maestri gli consigliarono di non farlo, poiché era più bello così perché la facciata assomigliava alle onde del mare” (T.B., Bavà Batrà, 4a).
Nel Talmud si parla anche di gioielleria: anelli, collane, orecchini e diademi con la forma di una città d’oro (T.B., Shabbàt, 57a).
Il diadema d’oro a forma della città di Gerusalemme è menzionato nel racconto del matrimonio di r. Aqivà e la figlia del ricco Kalba Savua’: “La figlia di Kalba Savua’ si fidanzò con R. Aqivà. Quando il padre di lei lo seppe, giurò che non le avrebbe permesso di trarre beneficio dalle sue proprietà. Poi lei andò a sposarlo in inverno. [Erano cosi poveri che] dormivano sulla paglia e lui dovette togliersi la paglia dai capelli. «Se solo potessi permettermelo», le disse, «ti regalerei una Gerusalemme d'oro»”. (T.B., Nedarìm, 50a)
Le limitazioni imposte dalla Torà nelle arti figurative
Una prima osservazione è che nelle arti figurative vi sono le limitazioni poste dalla Torà. Nei dieci comandamenti è scritto:
Non devi avere nessun dio al di fuori di Me. Non dovrai farti alcuna figura [di dei] scolpita e nessun genere di immagine di ciò che è in alto in cielo o in basso sulla terra o nell’acqua che si trova sotto la terra (Shemòt, 20:4).
Il Nachmanide scrive che nel versetto qui citato la Torà proibisce di fare immagini per adorarle. Inoltre vi è la proibizione di fare statue e di mantenerle in nostro possesso anche senza intenzione di adorarle, che deriva dal versetto “Non rivolgetevi agli idoli e non fatevi dei di metallo fuso” (Waykrà, 19:4)
In Devarìm è scritto:
Guardatevi bene, dato che nel giorno in cui l’Eterno vi ha parlato nel Chorèv da mezzo del fuoco, non avete visto nessuna immagine. Pertanto non dovete corrompervi e farvi un’immagine scolpita, una figura di qualsiasi forma, figura di maschio o di femmina, la figura di qualsiasi animale che è sulla terra o la figura di qualsiasi uccello alato che vola nel cielo, la figura di qualsiasi essere che striscia sulla terra, la figura di qualsiasi pesce che si trova nell’acqua sotto la terra (Devarìm, 4:14-18).
Rav Shimshon Refael Hirsch spiega che le parole “non avete visto nessuna immagine” vogliono proibire l’uso di qualche materiale per rappresentare l’Eterno che si rivelò a noi con le Sue parole al Monte Sinai e non trattano di altri dei. Il versetto seguente proibisce la deificazione e l’adorazione dei corpi celesti, la cui influenza vera o immaginaria è la fonte principale di idolatria:
Quando levi i tuoi occhi al cielo e vedendo il sole, la luna e le stelle e tutte le schiere dei cieli che l’Eterno ha assegnato a tutti i popoli non devi inchinarti a loro e adorarli (Devarìm, 4:15-19)
Avendo presentato questi versetti resta da esaminare cosa sia permesso fare nell’ambito della scultura, della pittura e della incisione; e quale arte sia permessa nel bet ha-kenèsset, nei libri come siddurìm, machazorìm, aggadòt, nelle ketubbòt, nei ritratti pittorici, nelle monete, nelle menoròt e nei mosaici.
La posizione halakhica del Maimonide
Il Maimonide presenta parte delle halakhòt riguardanti questo argomento nel terzo capitolo, paragrafo 10, delle Hilkhòt ‘Avodàt Kokhavìm:
È vietato creare immagini [statue di esseri umani] a scopo decorativo, anche se non rappresentano false divinità, come è detto [Shemòt, 20:23]: "Non fare con me dei d'argento e dei d'oro". Questo si riferisce anche a immagini d'oro e d'argento che sono intese solo per scopi decorativi, per evitare che gli altri errino e le vedano come divinità. È vietato realizzare solo immagini decorative della forma umana2.
Nel commento dell’edizione del Mishnà Torà, pubblicata da rav Yechiel Rabinovitz nel 1946, viene citato l’autore del Tur (S.’A., Yorè Deà’, 141) che afferma che la proibizione riguarda una forma umana completa. Tuttavia una testa senza il corpo o viceversa, sono permesse (così anche in Shulchàn ‘Arùkh, YD, 141:7)3. Il testo del Maimonide continua:
Pertanto, è vietato realizzare immagini umane con legno, calce o pietra. Questo [divieto] si applica quando l'immagine è tridimensionale (bolèt), come le sculture e altorilievi nelle sale da pranzo (traqlin) e simili. Una persona che crea un'immagine del genere è passibile della pena delle percosse. Al contrario, è consentito realizzare immagini umane che sono incise o dipinte, ad esempio, ritratti, sia su legno che su pietra, o che fanno parte di un arazzo4.
Nell’undicesimo paragrafo il Maimonide scrive:
Riguardo a un anello con sigillo che reca un'immagine umana: se l'immagine è sporgente, è vietato indossarlo, ma è consentito usarlo come sigillo. Se l'immagine è un'impressione, è permesso indossarla, ma è vietato usarla come sigillo, perché creerà un'immagine che sporge. Allo stesso modo, è vietato fare un'immagine del sole, della luna, delle stelle, delle costellazioni o degli angeli, come detto: "Non fare con me [dei d'argento ...] " cioè, non fare immagini dei Miei servi, quelli che servono davanti a Me in alto5. Questo [divieto] si applica anche [alle immagini] su tavolette6. Le immagini di animali e altri esseri viventi, con l'eccezione degli esseri umani; e similmente, le immagini di alberi, erbe e simili possono essere modellate. Questo vale anche per immagini che sporgono.
La rappresentazione di angeli
Riguardo alla rappresentazione di angeli, rav Gleiberman fa notare che il problema principale di questa proibizione è che le Scritture non descrivono chiaramente quali siano le loro forme. Generalmente un’opinione abbastanza diffusa è che gli angeli abbiano una figura umana con l’aggiunta di ali. Questo stereotipo deriva da immagini comuni nell’arte cristiana nel Medio Evo e in misura minore in raffigurazioni artistiche ebraiche. Tuttavia una raffigurazione del genere non è necessariamente quella proibita dalla Torà né viene descritta dai Maestri della Mishnà e del Talmud.
Rav Yosef Caro nello Shulchàn ‘Arùkh (Y.D., 141:4) scrive che è proibito raffigurare angeli (serafìm, ofanìm e malakhè ha-sharrèt) solo se tridimensionali. Disegni di amoretti sono quindi permessi e appaiono in diversi sefarìm pubblicati in Italia nel Settecento, come nell’edizione dello Shulchàn ‘Arùkh pubblicato a Mantova nel 1748 con il commento del noto rav Gur Aryè Halevi Finzi, mostrato qui di seguito:
Cosa è permesso nel Bet Ha-Kenèsset
La trattazione delle raffigurazioni pittoriche nelle sinagoghe appare negli scritti di rav Eliaqìm ben Yosef (XII sec. E.V.) e di rav Efràim ben Yitzchàq suo contemporaneo.
Rav Mordekhài Hakohen (Germania, 1250-1298) nel suo commento al trattato di ‘Avoda Zarà (43a), cita rav Efràim con queste parole: “Rav Efràim rispose a rav Yoèl riguardo ai disegni (tzuròt) di uccelli e cavalli disegnati nel bet ha-kenèsset e se vi sia permessa la tefillà [...] ma i disegni di uccelli e cavalli non vengono adorati dagli idolatri” e pertanto sono permessi. Rav Eliaqìm proibì i disegni di serpenti, leoni nel bet ha-kenèsset di Colonia. Tuttavia appare che la sua opinione non sia accettata perché è cosa comune vedere figure stilizzate di leoni sulla paròkhet nelle sinagoghe, come nella foto che segue:
Rav Gleiberman osserva che i Maestri che vennero dopo rav Eliaqìm non avevano un’idea chiara a quale tipo di raffigurazione quest’ultimo si riferisse. Rav Yitzchàq, autore dell’opera Or Zarùa’ (III) era dell’opinione che rav Eliaqìm si riferisse alle raffigurazioni a colori sulle finestre delle sinagoghe e che la proibizione non fosse derivante dalla Torà ma di origine rabbinica. I Maestri proibiscono infatti situazioni nelle quali si potrebbe sospettare (chashàd) che una persona si inchini a qualche immagine. Nei Pisqè Tossefòt (Yomà, Cap. Hotziu lo, n. 30) è scritto che “non è bene fare raffigurazioni nei machazorìm e nel bet ha-kenèsset, ma non è proibito”.
Rav Efràim afferma che decorazioni nelle sinagoghe sono permesse e rav Yosef Caro nei responsi Avqàt Rokhèl (65 e 66) ne riporta l’opinione e conclude che non siano proibite.
In effetti vi sono notevoli precedenti di decorazioni con raffigurazioni di vario tipo nei battè kenèsset in Eretz Israel. Lo dimostrano i numerosi mosaici scoperti negli ultimi due secoli risalenti al periodo bizantino e ignote ai Maestri succitati, come quello assai noto del bet ha-kenèsset scoperto a Bet Alpha con i segni dello zodiaco:
Una fonte che testimonia che raffigurazioni nelle sinagoghe fossero permesse in Eretz Israel a quei tempi, si trova nel Talmud Yerushalmì (‘Avodà Zarà, 3:3) dove è scritto: “Ai tempi di rabbì Yochanàn [che visse nel III secolo E.V.] permisero raffigurazioni sui muri e non vi fu chi obiettò”. Rav Moshè Margalit, autore del commento Marè Hapanìm scrive che da qui impariamo che è permesso fare raffigurazioni nel bet ha-kenèsset.
Raffigurazioni nei machazorìm
Riguardo ai disegni nei machazorìm e anche nei siddurìm, rav Meir Rothenburg, citato da rav Mordechai (‘A.Z. 43a) disse: “Mi hanno chiesto se fanno bene coloro che inseriscono disegni di animali e di uccelli nei machazorìm; ho risposto che non fanno bene perché quando guardano i disegni non indirizzano il loro cuore al loro Padre che è in cielo. Tuttavia la cosa non è proibita...”7.
Riproduzioni del Bet Ha-Mikdàsh e della menorà
Rav Yosef Caro nello Shulchàn ‘Arùkh scrive anche che è proibito riprodurre il Bet Ha-Miqdàsh nelle sue dimensioni originali (Y.D., 141:8 da T.B., ‘Avodà Zarà, 43a), e così pure la menorà di sette braccia di argento o di altri metalli anche se di dimensioni diverse di quella originale di diciotto tefachìm (palmi) di altezza. È però permesso riprodurre una menorà di cinque, sei o di otto braccia.
La fonte della halakhà dello Shulchàn ‘Arùkh è un responso di rav Yosef Colon di Mantova (Responsi Maharic, 75) che, basandosi sulla trattazione in Menachòt (28b), scrive che è proibito riprodurre una menorà anche di dimensioni diverse da quelle originali perché nella Torà non è specificata alcuna misura.
Monete
Rav Gleiberman cita le opinioni di vari Rishonìm (Rosh, Tossefòt, Meiri, Or Zarùa’ ad ‘Avodà Zarà, 43b) che sostengono che sia permesso usare monete, anche se riproducono immagini religiose, perché sono utensili per uso comune e non per uso religioso. La trattazione relativa alle monete, che fino dai tempi dei greci e dei romani avevano riproduzioni di divinità mitologiche, ha anche un ulteriore applicazione halakhica.
Le Tossefòt permettono di guardare raffigurazioni fatte a scopo ornamentale (T.B., Shabbàt, 149a) e questa opinione deriva da un passo talmudico relativo alle monete dove è detto: “Chi è figlio di qedoshìm? Rabbì Menachèm figlio di Simai che è così chiamato perché non guardava le figure sulle monete (T.B., Pesachìm, 104a, ‘Avodà Zarà, 50a)”. Rabbì Menachèm si comportava in modo più restrittivo della regola, ma non così facevano gli altri.
Per quanto fosse permesso usare monete con raffigurazioni umane e anche religiose, quando furono coniate monete da regnanti ebrei, furono usate raffigurazioni di vario tipo ad esclusione di quelle umane, per non fare raffigurazioni umane in rilievo8.
Le prime monete di questo tipo, perutòt (piastre) di bronzo, appaiono durante il regno di Alexander Yannai (103-76 a.e.v) con motivi quali ancore e fiori di giglio e iscrizioni in corsivo ebraico.
Anche durante il regno del re Erode il Grande (37 a.E.V- 4 E.V), vennero coniate monete con motivi diversi, di maggiori dimensioni e solo in bronzo, ma con iscrizioni in lingua greca:
I migliori esempi di arte numismatica ebraica appaiono durante la prima guerra contro l’impero romano quando vennero coniate monete d’argento del valore di uno shèqel con la figura di un calice (a sinistra) e successivamente sotto il breve regno di Bar Kokhbà che coniò anche monete con la raffigurazione del lulàv (a destra):
Ritrattistica
Al giorno d’oggi vi sono ritratti su stampe, su banconote e anche su francobolli di chakhamìm che vissero molti secoli fa. Il noto ritratto del Maimonide, nella banconota di uno shèqel, è frutto della fantasia dell’artista. Al tempo del Maimonide che visse nel XII secolo dell’Era Volgare non era di moda fare ritratti di personalità, specialmente nei paesi musulmani.
I primi ritratti di chakhamìm risalgono al XVI secolo in Italia9. Il fatto che dei noti chakhamìm accettassero di farsi raffigurare in quadri a olio è una sufficiente dimostrazione che non ritenevano che fosse proibito. In Italia, uno dei più rispettati chakhamìm alla fine del Seicento e all’inizio del Settecento, fu rav Yosef Fiammetta di Ancona (m. 1721), suocero di rav Shimshòn Morpurgo che lo succedette come rav della città 10.
Le visite ai musei
La Torà proibisce guardare immagini o statue di divinità, come è scritto: “Non rivolgetevi agli idoli...” (Wayqrà, 19:4) e che non è permesso soffermarsi a guardare opere d’arte di questo tipo.
L’autore catalano del Sàfer Ha-Chinùkh (XIII secolo E.V.) Così riassume la proibizione: “Di non rivolgersi alla ‘Avodà Zarà con il pensiero, con le parole e neppure con il solo sguardo, affinché così facendo non arrivi ad adorarla...” (mitzwà 213).
Per questo motivo bisogna evitare di entrare nelle sezioni dei musei dove è esposta arte sacra non ebraica e raffigurazioni pittoriche inappropriate.
Rav Efràim Greenblatt di Memphis nei responsi Revavòt Efràim (III, 504) scrive che è proibito visitare il Museum ha-Sha’avà a Tel Aviv dove vi sono statue di cera perché le statue li esposte sono state fatte da ebrei ed è proibito ad ebrei fare statue di forme umane complete.
L’entrata a musei può creare problemi per i kohanìm ai quali è proibito rendersi impuri stando sotto uno stesso tetto con cadaveri o ossa umane. Se si tratta di mummie o corpi di non ebrei, secondo a quanto scritto nello Shulchàn ‘Arùkh (Y.D., 372:2) la proibizione è limitata a toccare mummie o ossa ma non sotto lo stesso tetto.
Rav Shelomò Aviner11 scrisse che le ossa in mostra nell’Israel Museum a Gerusalemme sono imitazioni fatte di materiali artificiali e non di ebrei per cui non è proibito ai kohanìm visitare quelle sezioni. Al Yad Vashem vi sono ceneri di vittime dei campi nazisti, ma le ceneri non generano impurità come scrisse rav Mordekhai Ya’aqòv Breish, uno dei più rispettati poseqìm della generazione precedente, capo del Bet Din di Zurigo (Responsi Chelkàt Ya’aqòv, Y.D., 217).
Opere d’arte nelle chiese
Gran parte dell’arte pittorica antica si trova nelle chiese sia in quadri che in affreschi. Rav Moshè Feinstein, uno dei più autorevoli poseqìm della nostra epoca, in uno dei suoi responsi (YD, III, 129:6) scrisse che è cosa evidente che sia proibito entrare nelle chiese usate per il culto e per le preghiere. Ed è anche proibito entrare per guardare le raffigurazioni anche se fatte solo a scopo decorativo. Così pure rav ‘Ovadià Yosef scrisse che l’entrata nelle chiese è proibita nei responsi Yabia’ Omer (IV, Y.D. 11) e Yechawè Da’at (IV, 45).
L’affermazione delle Tossefòt (Shabbàt, 149a) che permettono di guardare statue e raffigurazioni fatte ad uso estetico, riguardano solo monumenti fatti in onore di qualche re, monete e pitture (di argomento non religioso) che si trovano in abitazioni private.
Rav Eli’ezer Waldenberg (Responsi Tzitz Eli’ezer, Y.D., 14:91) oltre ad affermare che è proibito entrare in chiesa, cita anche rav Moshè Isserles (S.’A., Y.D., 149:2) proibisce anche di entrare nel cortile di una chiesa a meno che non serva come passaggio.
Non è quindi permesso entrare in chiese e cappelle ancora consacrate dove vi sono famose opere d’arte come la Cappella Sistina con gli affreschi di Michelangelo e la basilica di S. Pietro in Vincoli a Roma dove si trova la statua del Mosè dello stesso Michelangelo.
Le bellezze naturali e le opere d’arte fanno bene all’anima
Il Maimonide nel quinto capitolo degli “Otto capitoli” d’introduzione ai Pirqè Avòt (Massime dei padri), menziona i benefici che possono derivare dalle opere d’arte e dalle bellezze della natura: chi soffre di malinconia può liberarsene ascoltando canti e musica, passeggiando per splendidi giardini e splendidi edifici, guardando belle immagini e altre cose che animano la mente e dissipano il cattivo umore.
Il rebbe Ya’aqòv Yitzchàq di Przysucha (pronunciato Peshiska) detto “il Yehudì ha-Qadosh” disse che “la depressione è la causa di tutti i peccati”12. Da qui la necessità di cercare di vivere con gioia e di usare le bellezze naturali e le creazioni umane per rimettersi di buon umore.
Rav Chayìm Yosef David Azulai nel diario dei suoi viaggi racconta: “Di Shabbàt sono andato un po’ a passeggio perché ero di pessimo umore a causa di brutte notizie e di altri guai e a Pisa ho visto la torre pendente e le porte del duomo dal di fuori. In Piazza dei Cavalieri vi sono [delle nicchie con] i busti di tutti i duchi di Toscana e in mezzo a loro il granduca Ferdinando e vicino a lui una fonte d’acqua a forma di donna seduta che tiene con le braccia dei bacini di marmo13. L’acqua esce dalla bocca e dagli occhi; una cosa bella e da apprezzare” (Ma’agàl Tov, 20 Elùl, 1774).
E ancora il Maimonide:
[...] Così, proprio come il corpo si esaurisce per il duro lavoro, e poi si riprende riposo e ristoro, così è necessario che la mente si rilassi guardando immagini e altri oggetti belli, affinché la sua stanchezza possa essere dissipata. Di conseguenza, è riferito (T.B., Shabbàt, 30b) che quando i Maestri erano esausti per lo studio, parlavano di argomenti che rallegravano. Da questo punto di vista, quindi, l'uso di quadri e ricami per abbellire la casa, i mobili e gli abiti non è da considerarsi immorale né inutile.
A questo proposito. Rav Shelomò Aviner scrisse che quando rav Kook era a Londra andò alla National Gallery per vedere i ritratti di Rembrandt (Yovel Oròt, p. 168) e che il rebbe di Karlin-Stolin visitò l’Israel Museum per vedere un’esposizione sul chassidismo.
Egli cita anche una lettera nella quale il rebbe di Lubavitch scrisse che il rebbe Shalom Beer Schneerson visitò il Louvre a Parigi dove dedicò diverse ore nel reparto dei quadri e poi raccontò al figlio, il rebbe Yosef Yitzchàq, che alcuni quadri gli erano serviti di ispirazione per degli argomenti di chassidùt (Iggheròt Qòdesh, 26:9, p. 669).
Conclusione
Il Maimonide nella sua Guida dei perplessi (III:29) sottolineò che il motivo fondamentale della Torà è l’eliminazione della ‘Avodà Zarà. E anche nella tefillà di ogni giorno nella seconda parte del ‘Alènu Leshabbèach diciamo: “Perciò noi speriamo in Te, Eterno nostro D., di vedere presto la glorificazione della tua onnipotenza, vedere sparire le abominazioni dalla terra, e che l’idolatria venga distrutta, che il mondo venga rigenerato sotto lo scettro dell’Onnipotente e che tutti i mortali invochino solo il Nome Tuo [...]”.
Pertanto è necessario prestare la massima attenzione al versetto dove è scritto “Non rivolgetevi agli idoli” (Wayqrà, 19:4) e stare attenti ad allontanarsi da tutto quello che può portare alla sua trasgressione, anche se lo si fa senza alcuna intenzione.
Per quanto sia permesso guardare raffigurazioni o statue fatte a uso estetico per onorare un re e non a scopo di ‘Avodà Zarà, come scritto nelle Tossefòt, è tuttavia proibito andare a guardare opere che sono ‘Avodà Zarà come le sezioni di musei che espongono statue di divinità indiane o di altre religioni che vengono adorate fino ad oggi.
Quanto alle statue di divinità romane o greche che al giorno d’oggi non vengono adorate, rav Moshè Feinstein in un suo responso (Iggheròt Moshè, Y.D., 53) afferma che anche al giorno d’oggi è proibito guardarle.
Per coloro che amano l’arte antica e moderna vi sono oggi ampie opportunità di soddisfare i propri desideri visitando musei dove vi sono tante sezioni che non presentano problemi halakhici e dove è possibile rallegrarsi vedendo le creazioni dei grandi artisti antichi e moderni.
Mi è gradito concludere con un’osservazione di rav Jonathan Sacks che scrisse:
I greci, e molti nel mondo occidentale che hanno ereditato la loro tradizione, credevano nella santità della bellezza. Gli ebrei credono il contrario: hadràt qòdesh, la bellezza della qedushà. L’arte per gli ebrei ha sempre uno scopo spirituale: quello di renderci che l’universo è testimonianza dell’opera del Creatore14.
NOTE:
1 Per questo articolo ho tratto diverse fonti dal saggio dell’amico R. Yitzchak Gleiberman di Brooklyn intitolato “The Jewish Attitude Towards Art in the Middle Ages” (1972). R. Gleiberman ricevette il titolo rabbinico da rav Moshè Feinstein nella Yeshivà Tiferet Yerushalaim a New York. Sono particolarmente grato a R. Gleiberman per avermi fornito copia del suo lavoro.
2 La fonte è il Talmud babilonese, trattato ‘Avodà Zarà (43a).
3 C’è chi sostiene che anche la sola testa sia proibita (vedi Turè Zahàv, 141:15).
4 Ibid.
5Talmud babilonese, trattato ‘Avodà Zarà (43a).
6 O anche su carta o altra superficie adatta alla scrittura. Nel commento Kessef Mishnè al Mishnè Torà è spiegato che è proibito disegnare o pitturare sole, luna e altri astri anche se non sono sporgenti, perché guardando il cielo appaiono bi-dimensionali.
7 È possibile che rav Meir si riferisse ai disegni nelle pagine di testo dei machazorìm, dove è difficile che i disegni non distraggano durante la tefillà, e non nei frontespizi dove i disegni sono solo a scopo decorativo.
8 Che secondo alcuni poseqìm sono proibite anche se non mostrano tutto il corpo (vedi nota 3).
9 Così scrivono Phillips Greenspan e Annelies Mondi nell’articolo “What was the first notable rabbinical protrait in Western Art?”, pubblicato su Jewish Action (Spring 2017)
10 I discendenti della famiglia Morpurgo sono in possesso fino ad oggi del quadro del loro antenato. Ringrazio Marina Lombroso per avere fornito foto del ritratto.
11 Halakhòt of visiting museum, http://www.ravaviner.com/2013/03/
12 Magghìd Mesharìm, Kitvè Ha-Qòdesh, 62.
13 R. Azulai descrive la facciata del Palazzo della Carovana che oggi è sede della Scuola Normale Superiore. Nelle nicchie sulla facciata vi sono i busti di Cosimo1, Francesco I e Ferdinando I, Cosimo II, Ferdinando II e Cosimo III.
14 The Beauty of Holiness or the Holiness of Beauty (Vayakhèl 5779, February 25, 2019). Ringrazio rav Riccardo Di Segni per l’indicazione di questa fonte che ho tradotto liberamente accorciando il testo.
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