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A proposito di Shabbàt...



Sono trascorsi circa 3350 anni da quando lo Shabbàt è stato dato alla nazione ebraica, ma nessuna età ne ha avuto bisogno più della nostra. Non v’è mai stata una generazione le cui menti siano state così ossessionate come le nostre dalla melakhà, dal controllo della natura da parte della potenza dell’intelligenza umana. Le nostre realizzazioni in questa sfera ci hanno portato a un’illusione di autosufficienza, ci hanno condotto lontano da D-o e dalle radici del nostro stesso essere. Anziché darci un mondo stabile in cui vivere, hanno aumentato l’instabilità al di là di ogni immaginazione e hanno prodotto una massa umana senza radici, senza speranza, dominata dalla paura.

Lo Shabbàt ebraico ci libera dai nostri legami con la melakhà e indica la via verso l’igiene mentale e il recupero delle vere radici della nostra esistenza. Lo Shabbàt della Halakhà è un raggio di speranza nella visuale cupa del mondo moderno. 

Noi, la nazione ebraica, abbiamo dato lo Shabbàt al mondo, l’abbiamo preservato e prediletto attraverso i millenni proprio per un'età come la nostra. Certamente, noi pure dobbiamo avere orecchie per intendere il suo messaggio salvatore. Dopo tutto è a noi, in primo luogo, che il suo messaggio è indirizzato.

Lo Stato Ebraico ha una responsabilità particolare e un’opportunità unica in questo campo. Potrebbe, se volesse, acquietare una volta per sempre il rauco, insistente clamore del mondo moderno e far sentire così la voce dello Shabbàt.

Che cosa dice questa voce? Proclama alla nazione ebraica, e attraverso di essa al mondo, la necessità di servire un fine più elevato di se stessi; indica il modo di liberarsi dal giogo materiale nel quale l’umanità è catturata; mostra che le fatiche dello Stato e della società, per avere valore e significato, devono essere rivolte a un solo fine: al servizio di D-o.

(Tratto dal libro “Lo Shabbàt” di I. Grunfeld)

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Dediche
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In memoria di Antonella bat Giuseppina z.l.
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