GIORNALISMO E HALAKHÀ
di Donato Grosser
Si racconta che R. Israel Salanter, il grande maestro della scuola di Mussar, osservò che non tutto quello che si pensa va raccontato, non tutto quello che si racconta va scritto e non tutto quello che è scritto va pubblicato. È quindi evidente che se è importante stare attenti a quello che si dice, è ancora più importante stare attenti a quello che si scrive, specialmente se lo si fa per mestiere.
Dr. Steven Oppenheimer in un articolo sul Journal of Halacha and Contemporary Society di New York osservava che: “I giornali hanno una funzione vitale nella società, informando e guidando il pubblico durante le crisi economiche, sociali e politiche. Il pubblico si aspetta dai giornali informazioni oneste e veritiere. I giornalisti hanno quindi un enorme potere perché tante persone si basano su di loro per le informazioni che ricevono nella vita di ogni giorno”.
Il giornalista deve quindi cercare per quanto possibile di riportare le notizie in modo onesto senza farsi fuorviare dalle passioni o dai pregiudizi. È chiaro quanto sia difficile riuscire a seguire questa linea di condotta al cento per cento, tuttavia la Torà è stata scritta per esseri umani che sono di natura proni ad errori e non per esseri perfetti come gli angeli. Con tutto ciò, data questa responsabilità, è imperativo che l’ebreo che desidera fare il giornalista sia cosciente del fatto che nell’espletare le sue responsabilità può incorrere in un grande numero di trasgressioni.
Si racconta di uno shochèt (macellatore rituale) che andò dal suo Rebbe e gli disse che era spaventato dalla responsabilità che aveva e temeva che se avesse commesso un errore, avrebbe potuto causare un enorme danno alla comunità facendo consumare carne non kasher.
Desiderava pertanto cambiare mestiere e darsi al commercio. Il Rebbe lo convinse a continuare a fare lo shochèt, dicendogli che proprio il fatto che avesse timore di commettere errori significava che era la persona adatta a fare lo shochèt e che se avesse voluto cambiare mestiere e fare il commerciante, in alternativa alla sua occupazione attuale, avrebbe avuto un numero molto più grande di trasgressioni di cui preoccuparsi. È più che probabile che un giornalista possa commettere un numero di trasgressioni superiore a quello di chi opera nel commercio.
Dr. Oppenheimer nell’articolo succitato scrisse che: “È cosa normale per un giornale chiedere l’opinione del proprio legale prima di pubblicare un articolo importante. Questo viene fatto per evitare di essere citati in tribunale per avere usato espressioni improprie o per asserzioni non sostenute dai fatti. La redazione vuole sapere dal proprio legale fino a quale punto può riportare certi dettagli perché ci sono alcuni limiti che redattori e reporter sanno di non poter oltrepassare. [...] Nello stesso modo i redattori dei giornali ebraici devono consultare le autorità halakhiche [...] per essere certi che quello che viene pubblicato non esce dai limiti del consentito”.
Tra le regole halakhiche da prendere in considerazione nella conduzione degli affari di un giornale, ve ne sono tre particolarmente rilevanti: la proibizione di creare dissidi, la proibizione di parlare male del prossimo e la proibizione di scrivere su argomenti inappropriati.
LA PROIBIZIONE DI CREARE DISSIDI
La fonte della regola che articoli e lettere pubblicati su un giornale devano evitare di creare inutili dissidi e di incoraggiare polemiche distruttive che creano o alimentano discordie lo impariamo dal dissidio generato da Qòrach e dai suoi seguaci che non seppero trattenersi dal proseguire nella ribellione fino alla loro tragica fine (Bemidbàr, 16:25 e 17:5). In quella occasione Moshè nostro maestro andò di persona da Datan e Aviram, i principali sostenitori della ribellione di Qòrach, cercando di far cessare il dissidio.
Il passo talmudico in Sanhedrin (110a) che tratta di Qòrach si apre con l’affermazione di R. Aqivà che dice: “La comunità di Qòrach non ha posto nel mondo futuro”. Nella trattazione che segue è citato il versetto della Torà dove è scritto: “E Moshè si alzò e andò da Datan e Aviram”. R. Shim’on ben Lakish afferma: “Da qui [impariamo] che non bisogna perseverare nel dissidio”. Rashì nel suo commento spiega che Moshè, rinunciando al proprio onore, andò lui stesso dai ribelli per fare cessare il dissidio.
R. Ya’akov Farbstein in Aholè Ya’akov (p. 319) fa notare che in ogni dissidio ci sono due litiganti; tuttavia da questo passo talmudico si impara che Moshè non aveva alcuna responsabilità per il dissidio e fece il gesto di andare da Datan e da Aviram con umiltà e bontà di spirito. I veri colpevoli nel perseverare nella discordia furono Datan e Aviram che non vollero neppure parlare con Moshè.
Riguardo all’argomento dei dissidi nei Pirqè Avòt (5:18) i Maestri insegnano che “Ogni disputa che avvenga per fini onesti (lett. Le-shem Shamàyim) finisce col mantenersi; non così invece delle dispute che non avvengono per onesti fini. Quale esempio si può citare del primo tipo? Le discussioni di Hillel e Shammai. E del secondo tipo? Quelle di Qòrach e di tutto il suo seguito”
Il Maimonide nel suo commento alla Mishnà spiega quali siano le dispute “Le-shem Shamàyim”. Esse sono “ le opinioni di chi dissente non per un basso motivo ma per la ricerca della verità [...]”. Da qui impariamo che nel caso di Hillel e Shammai il dissidio non era fine a sé stesso ma per cercare la verità e pertanto venne detto che “sia le parole dell’uno sia quelle dell’altro erano parole divine”. Un dissidio per un basso motivo può avere luogo invece quando la parte che viene ammonita continua a sostenere la propria opinione pur sapendo che non è sufficientemente fondata o, peggio, errata.
Da qui impariamo che articoli e lettere che trattano di argomenti volti alla ricerca della verità sono permessi, anche se con certe limitazioni di cui viene trattato nelle sezioni che seguono. Sono proibiti quelli che servono solo a fare inutili polemiche che creano sentimenti di astio tra le persone.
LA PROIBIZIONE DI SPARLARE DEL PROSSIMO
La Torà proibisce di parlare male del prossimo perché è scritto “Non andare a sparlare del prossimo” (Wayiqrà, 19:16).
R. Israel Meir Kagan alla fine dell’Ottocento scrisse l’opera Chafètz Chayìm, un titolo preso dal versetto dei Tehillìm (34:13) che significa “Chi desidera vivere”, per presentare al pubblico una trattazione completa delle regole della maldicenza. Egli spiegò che maldicenza significa dire del male del prossimo anche quando si dice la verità. Se non si dice la verità si cade nella trasgressione ancora più grave di diffamazione. La diffamazione è un reato ben noto ai giornalisti perché può venire perseguita per le vie legali.
Non è invece abbastanza noto il fatto che la Torà proibisce anche di scrivere notizie veritiere se danneggiano la reputazione di persone incensurate che hanno commesso qualche mancanza occasionale a meno che i fatti citati non siano già di dominio pubblico. Anche in casi del genere bisogna stare molto attenti a essere precisi nel riportare le notizie senza aggiungere altri dettagli. E in ogni caso non è permesso a un giornale ebraico riportare parola per parola notizie negative su degli ebrei prese da altri giornali senza verificarle indipendentemente perché le notizie
di stampa contengono spesso errori o omissioni di fatti favorevoli alle persone che ne sono oggetto.
Nel Chafètz Chayìm è scritto che nel caso in cui qualcuno abbia fatto un’azione che può essere interpretata in modo favorevole o sfavorevole va giudicato in modo favorevole; se si tratta di una persona timorata di D. siamo obbligati a giudicarlo favorevolmente anche nei casi in cui le apparenze sono più negative che positive. Se è proibito sparlare del prossimo nei colloqui personali a maggior ragione bisogna guardarsi dal farlo in un giornale. Nel Chafètz Chayìm è infatti scritto che “Il divieto di lashon harà’ (maldicenza) viene trasgredito sia parlando sia scrivendo”. Non c’è differenza tra maldicenza esplicita o per allusione”. Inoltre, se la proibizione di fare maldicenza vale per una persona, a maggior ragione se lo fanno in due perché due persone hanno maggiore credibilità. Ed è quindi ancora più grave se la maldicenza viene fatta in un giornale che gode del fatto che molta gente crede che gli scritti abbiano più valore di quello che viene raccontato a voce. E ancora, mentre se una persona sparla del prossimo, la voce può rimanere limitata a un piccolo numero di persone, con un giornale si può danneggiare la reputazione di qualcuno con grande velocità presso un gran numero di lettori.
Una cosa poco nota è la proibizione di prendere per vera la maldicenza: “La Torà proibisce di prestare fede alla maldicenza sia che si tratti di questioni concernenti i doveri dell’uomo nei confronti dell’Onnipresente, sia nei confronti del prossimo [. ] e colui che presta fede alla maldicenza trasgredisce la mitzwà proscrittiva di: “Non prendere per vero un rapporto falso” (Shemòt, 23:1).
Un giornalista che pubblica notizie, anche vere, che non sono di dominio pubblico, nelle quali si sparla di un israelita incensurato, oltre a commettere la trasgressione di fare maldicenza, commette anche le trasgressioni di prendere per vera la maldicenza e anche di fare trasgredire ai lettori la mitzwà che proibisce di prendere per vera la maldicenza.
Quando si scrivono articoli di argomento economico bisogna stare molto attenti a non scrivere cose che possono creare danni ad aziende o a persone. Da ciò deriva che nelle recensioni di libri bisogna usare cautela nei commenti per non correre il rischio di far sì che la casa editrice non riesca più a vendere copie del libro.
A un giornalista è proibito scrivere in modo negativo su un altro israelita incensurato anche se non facendolo potrebbe subire sanzioni dal suo datore di lavoro o addirittura venire licenziato. Infatti nello Shulchàn ‘Arùkh (Yorè De’à, 157), R. Moshè Isserles scrive che se una persona può evitare di commettere una trasgressione dando tutto quello che ha, è obbligato a farlo piuttosto che trasgredire una mitzwà della Torà. In casi del genere può essere doveroso dare le dimissioni.
Ci sono tuttavia situazioni nelle quali è permesso esporre le malefatte del prossimo. Un esempio attuale è quello di un marito al quale il Bet Din ha dato ordine di dare il ghet (documento di divorzio) alla moglie e costui ha rifiutato. In tale caso si può pubblicare sul giornale che il tal dei tali ha disobbedito a un ordine del Bet Din per far sì che il marito si ricreda di fronte alle pressioni dell’opinione pubblica.
In certi casi può essere necessario criticare le persone che si comportano pubblicamente in modo contrario alla Torà per far sì che il pubblico venga avvertito del fatto che sono dei trasgressori e non ne seguano gli insegnamenti e i comportamenti. Nella stampa ebraica avviene di frequente il contrario e non è raro che vengano date coperture editoriali favorevoli a persone le cui attività sono state proibite dalle principali autorità halakhiche contemporanee.
Un caso recente è quello di una personalità ben nota in America per le sue attività e opinioni eterodosse iperbolicamente descritto su dei giornali ebraici in Italia come "una delle figure più eminenti dell'ebraismo contemporaneo" e “uno dei più grandi pensatori dell’ebraismo ortodosso di oggi”, nonostante che in America sia stato emarginato dalla comunità degli ebrei osservanti.
In casi del genere, prima di pubblicare articoli basati in parte su comunicati stampa che fanno le lodi di tali personalità, su opinioni di loro sostenitori, o su impressioni personali agli eventi ai quali si è partecipato, è importante verificare alle fonti se si tratti veramente di persone degne dalle quali si possa prendere esempio e sulle quali sia opportuno scrivere senza alcuna critica in un giornale ebraico.
LA PROIBIZIONE DI PUBBLICARE ARTICOLI SU ARGOMENTI INAPPROPRIATI
Il giornalista di un giornale ebraico deve essere cosciente del fatto che non tutte le opinioni sono accettabili o rispettabili. Ci sono opinioni che non vanno pubblicate o se necessario farlo, devono essere citate in modo critico sottolineando che sono contrarie alla Torà e alla tradizione ebraica. Pertanto è necessario stare particolarmente attenti a presentare tutte le notizie tenendo conto del fatto che la Torà, oltre alle mitzwòt che ci impongono di agire in un certo modo, a quelle che ci proibiscono di agire in un altro modo, comprende anche opinioni appunto “ortodosse” che è doveroso sostenere e opinioni eterodosse che è doveroso rigettare e combattere.
I redattori dei giornali ebraici oltre agli articoli redazionali sono responsabili anche di articoli e lettere che possono condurre i lettori a pensare che un’azione o un’opinione proibita sia invece permessa. Così facendo trasgredirebbero la mitzwà di “Non porre un inciampo davanti a un cieco” (Wayiqrà, 19:14) che significa appunto di fare errare il prossimo.
Un esempio recente è quello di un giornale ebraico che pubblicò un articolo con una lista di ristoranti kasher, aggiungendo alla lista dei ristoranti vegetariani con indicazione che non avevano una certificazione kasher. Nonostante questo avvertimento alcuni lettori protestarono sostenendo che l’inclusione dei ristoranti senza certificazione kasher avrebbe potuto “porre un inciampo” nei confronti di alcuni lettori che potevano pensare che anche senza certificazione era permesso mangiare in tali ristoranti. Con grande onestà il direttore responsabile si scusò con i lettori nel numero successivo del giornale. Un altro giornale si affrettò a pubblicare la notizia che un certo ristorante era kasher senza neppure verificare con il rabbinato locale. Quando il rabbino smentì la notizia, il giornale uscì con una correzione.
Infine nell’accettare pubblicità è necessario stare attenti a non pubblicare annunci che promuovono attività proibite dalla Torà o per prodotti e servizi innocui che però usano foto poco decorose.
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Un articolo non è sufficiente per coprire gli argomenti succitati. Abbiamo riportato diverse citazioni dal Chafètz Chayìm per far sì che il lettore si renda conto di quanto indispensabile sia studiare queste regole. E se queste regole sono indispensabili per ogni ebreo, a maggior ragione lo sono per coloro che la cui occupazione è quelle di diffondere notizie. Come scrisse Dr. Steven Oppenheimer nel suo articolo, se per un giornale qualunque è indispensabile usufruire di consigli legali, per un giornale ebraico è anche necessario sapere quando rivolgersi a un rav esperto per risolvere i dubbi su cosa sia permesso e proibito. Per un giornalista ebreo non è quindi sufficiente essere onesto e professionale: è anche necessario studiare e coltivare uno spirito critico basato su solide conoscenze delle regole halakhiche per poter espletare il proprio compito in modo corretto.