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LA SANTITÀ DELLA VITA UMANA E IL DOVERE DI PROTEGGERE LA VITA E LA SALUTE

Alfredo Mordechai Rabello

Il concetto di santità della vita umana e il grande valore che ha

secondo la Torà, è da attribuire al fatto che la vita deriva

direttamente da D., che creò l'uomo: "D. creò l'uomo a Sua

immagine; lo creò ad immagine di D.; li creò maschio e

femmina". L’intervento divino non fu limitato alla creazione di

Adamo ed Eva. I Maestri descrivono quale sia l’intervento divino

nella nascita di ogni essere umano:

Vi sono tre soci nella creazione dell'uomo: il padre e la madre e

il Santo Benedetto Egli sia. Il padre e la madre forniscono il

corpo, e lo spirito vitale (nèfesh) proviene dal Santo Benedetto

Egli sia.

La conservazione della vita umana ha la precedenza su tutti i

precetti della Torà (mitzwòt) fatta eccezione dei comandamenti

riguardanti l'idolatria, l'omicidio e le unioni sessuali proibite

(come ad esempio l'adulterio e l'incesto).

I Maestri hanno affrontato il problema della liceità dell'intervento

dell'uomo nell'operato del Signore. Apparentemente esiste un

contrasto fra l’origine divina delle malattie, da un lato, e i

tentativi da parte dell'uomo di curarle, dall'altro. Nel Talmùd è

detto:

Ha detto Rav Acha: chi viene a levare sangue (con un salasso)

dice: "che sia la Tua volontà, Signore mio D., che questa azione

sia per guarigione, e curami perché Tu sei un medico fedele e la

tua medicina è vera e gli uomini non hanno la forza di curare e

forse non dovrebbero occuparsi di ciò (e dovrebbero lasciare la

cosa al volere divino, chiedendo misericordia - Rashì) ma ormai

si sono abituati" (ad occuparsi di medicina).

A tal proposito prosegue il passo talmudico:

Ha detto Abayé: non dica l'uomo così, dato che hanno appreso

nel Bet Ha-Midràsh di Rabbì Ishma’èl: rapò yerapé (curare

curerà) onde è stato dato il permesso al medico di curare".

Senza questo versetto si potrebbe pensare che l'uomo non abbia

diritto di intervenire contro quella che appare essere la volontà

divina e anche che non deva intervenire per non correre il rischio

di causare per errore la morte del paziente.

Il permesso di curare (che diventa dovere per chi ne ha la

capacità) vale sia nel caso che la condizione sia stata generata

direttamente per volere del Cielo, sia che sia stata causata dagli

uomini.

Nel Midràsh i Maestri affrontano nuovamente il problema

se sia consentito intervenire per tentare di guarire le malattie

umane, con un racconto che vede coinvolti Maestri famosi come

R. ‘Aqivà e R. Yishma’èl, vissuti nel II secolo E.V. Avendo

incontrato un malato, gli avevano indicato un medico al quale

rivolgersi, augurandogli pronta guarigione. A un agricoltore che

aveva assistito all'incontro e che si meravigliava

dell'atteggiamento dei Maestri, da lui ritenuto contrario alla

volontà divina che aveva provocato la malattia, forse per

punizione, R. ‘Aqivà rispose dichiarandosi a sua volta meravigliato

che l'uomo avesse con sé un arnese per lavorare la terra, dal

momento che, se D. avesse voluto, la terra avrebbe dato il suo

prodotto da sola.

R. ‘Aqivà concluse che l'uomo deve essere partecipe

dell'opera divina della creazione, e che la Torà stessa stabilisce

che il medico ha il dovere di curare.

Il fondamento del permesso di curare, che per un medico è un

dovere, si trova appunto nel versetto della Torà: rapò ierapé

(curare, curerà), che consente al medico di intervenire, per così

dire, nell'opera del Santo Benedetto. Rav I. Jakobovits espresse il

concetto con queste parole:

I pensatori ebrei ritenevano che il controllo del dolore e della

malattia fosse non meno vincolante del dare acqua a una gola

assetata o dell'arare un suolo non coltivato nell'ambito della

lotta dell'uomo per la sopravvivenza e la prosperità, tanto per

usare un'analogia già citata dal Maimonide.

Lo Shulchàn ‘Arùkh stabilisce la Halakhà:

La Torà ha dato permesso al medico di curare ed è una mitzwà,

ed essa rientra nel dovere di salvaguardare la vita... e pertanto

anche lo studio della medicina è considerato azione meritoria.

Naturalmente le decisioni del paziente e anche l'operato del

medico dovranno svolgersi secondo i principi e le regole della

Torà, ed in questo campo sarà preziosa la possibilità di poter

usufruire di poseqìm (decisori), che indichino la via da seguire e

quali sono i limiti posti alla volontà umana e all’autonomia del paziente.

La consapevolezza che tutto proviene da D. Benedetto

viene espressa con la preghiera pronunciata prima di ricevere ogni

trattamento, medico o chirurgico: "Possa essere Tuo desiderio,

Signore mio D., che quello che sto per fare sia proficuo per la mia

cura, perché Tu sei il medico che non chiede ricompensa",

mentre dopo il trattamento medico dirà: "Sii Tu Benedetto che

curi i malati".

Nella Torà (Wayqrà, 19:16) troviamo un avvertimento di carattere

generale: "… non assistere inerte al pericolo del tuo prossimo; Io

sono il Signore". Da qui si impara che chi ha la possibilità di salvare

un altro da un pericolo e non lo fa, è considerato

colpevole. È anche vietato mutilare il corpo di una persona, e

anche il proprio corpo.

In caso di pericolo di vita si deve trasgredire lo Shabbàt,

come è stabilito espressamente nello Shulchàn ‘Arùkh: "è

mitzwà profanare lo Shabbàt per chi ha una malattia pericolosa;

chi si affretta (a curare) è degno di elogio, e chi va a fare

domande su come comportarsi sparge sangue (mette in pericolo

la vita altrui) ". E ancora: “chi è zelante nel profanare lo Shabbàt

per un caso in cui vi è pericolo, è degno di elogio"; "ogni

pericolo di vita (piqùach nèfesh) mette da parte (doché) lo

Shabbàt".

R. Chayìm Yosef David Azulay così afferma: "Non ci si deve

basare sul miracolo ed il malato deve comportarsi come fanno

tutti chiamando un medico che lo curi … seguendone le istruzioni

… e chiedendo pietà dal Cielo".

La vita umana richiede la nostra protezione in qualunque

fase dell’esistenza, sia pure pochi secondi prima della morte,

come stabilisce il Maimonide: "colui che uccide un uomo sano

oppure un uomo in procinto di morire e perfino un gossès

(agonizzante), commette una colpa capitale".

La Torà stessa esprime il principio fondamentale: "Osserverete

dunque le mie leggi e i miei statuti, seguendo i quali l'uomo ha la

vita (wa-chài bahem); Io sono il Signore", e i Maestri spiegano:

"e vivrai in essi (wa-chài bahem) e non morirai in essi",

espressione questa che si riferisce a chi è in vita.

Rabbàn Shim'òn ben Gamliel dice: “Per un neonato di un

giorno si profana il Sabato, mentre per un morto, anche se è

David, Re di Israele, non lo si profana".

Rabbàn Shim'òn ben Gamliel dice: “Per un neonato di un

giorno si profana il Sabato, mentre per un morto, anche se è

David, Re di Israele, non lo si profana".

L’uomo di fronte al Creatore

"Ho posto il Signore davanti a me sempre": con questo versetto

re David ci insegna un principio fondamentale della Torà e cioè

che la consapevolezza di essere sempre davanti al Signore deve

influenzare profondamente la nostra condotta:

Questa è una grande regola della Torà e delle doti dei giusti che

camminano davanti a D.: l'atteggiamento di un uomo che si trova

solo in casa non è come quello di un uomo che si trova di fronte

a un grande Re. Quando l'uomo avrà la coscienza che il grande

Re, il Santo e Benedetto Egli sia, della Cui gloria tutta la terra

è piena, si trova al di sopra di lui e ne vede tutte le azioni verrà

subito preso dal timore di D., e avvertirà un senso di

sottomissione, e anche quando è a letto saprà davanti a Chi si

trova…".

Non vi è azione che sia indifferente a D. e siamo invitati a

meditare sulla Sua presenza anche in caso di azioni che

potremmo erroneamente pensare che non siano importanti;

così uscendo dalla toilette si dice la seguente benedizione:

Benedetto sii Tu, o Signore D. nostro Re del mondo che formasti

l'uomo con sapienza e creasti in lui orifizi e canali! È noto alla

Tua gloriosa maestà che se uno di essi si chiudesse o avvenisse

qualche rottura, nessuna creatura potrebbe vivere neppure un

istante! Benedetto sii Tu, o Signore, che provvedi alla salute di

ogni creatura ciò facendo con opera meravigliosa.

Meravigliosa significa qui "che fa meraviglia", e la meraviglia del

nostro mondo è l'unione non facile fra l'anima spirituale ed il

corpo materiale dell'uomo, come sottolinea R. Moshé Isserles, il

Remà, nelle sua glossa:

Quello che fa meraviglia è che Egli conserva lo spirito umano

dentro l’uomo, legando spirito e materia e tutto ciò grazie al

fatto che Egli è il medico di ogni vivente e in questo modo

l’uomo è sano e la sua anima si conserva in lui.

La superiorità dell'uomo nel creato viene espressa nel versetto:

"Poi il Signore D. disse: Ecco l'uomo è diventato come uno di noi

in quanto conosce il bene e il male": il segno caratteristico

dell'uomo è appunto il libero arbitrio: "Guarda, Io ho posto davanti

a te oggi la vita e il bene, la morte ed il male… scegli la vita".

Il Talmùd, riferendosi al fatto che Adamo fu creato da

solo, afferma:

Per questo è stato creato un solo uomo, per insegnarti che

chiunque distrugge una persona è considerato dalla Scrittura

come se distruggesse un mondo intero e chiunque salva una persona

è considerato dalla Scrittura come se avesse fatto

sussistere un mondo intero", insegnandoci anche, con le parole di Raba:

"Chi ha detto che il tuo sangue è più rosso di quello di

quell'uomo [che si vorrebbe uccidere per permetterti di

continuare a vivere]? Forse il suo sangue è più rosso del tuo [e

quindi non si può sacrificare una vita per salvarne un'altra].

Raba ci vuole insegnare che vi sono insegnamenti importanti che

ci impongono una determinata condotta in quanto uomini, creati

a Sua immagine, come spiega Rashì: "Chi può sapere che il tuo

sangue è più gradito al Tuo Creatore del sangue del tuo

compagno".

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Dediche
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