Conteggio dell’Omer
Dal libretto “Conteggio dell’Omer” di Moise Levy
INTRODUZIONE
La Torà prescrive che nel secondo giorno di Pesakh sia portata al Santuario una misura (Omer) del nuovo orzo e i nostri Maestri hanno stabilito che in ricordo di ciò siano enumerati progressivamente i giorni seguenti festeggiando, al termine, il 50º giorno, la ricorrenza di Shavuot. Questo periodo è chiamato Sefirat haOmer, il “conteggio dell’Omer”. Questo lasso di tempo ricorda anche un evento storico: durante le sette settimane seguenti l’ Esodo, i nostri padri si sono preparati a ricevere la Torà al Monte Sinai. La responsabilità di questa preparazione incombe su tutti noi anche al giorno d’oggi. Ogni anno, durante il periodo che segue Pesach, dobbiamo sforzarci di liberarci dai vincoli e dalle costrizioni che il il materialismo ci impone per poter essere meritevoli di ricevere il dono della Torà quando arriverà Shavuot. Il periodo della Sefirat haOmer era in passato caratterizzato da manifestazioni liete, ma oggi è considerato un periodo di semi-lutto per diversi motivi tra i quali l’assenza del Santuario, la morte di 24.000 studenti di R. Akivà durante i 33 giorni dell’Omer e una serie di massacri di comunità ebraiche avvenuti ai tempi delle Crociate.
NORME tratte dal Kitzur Shulkhan Aruch
1. La seconda sera di Pesackh (festa delle Azzime) si comincia a contare l’Omer; il computo va eseguito stando in piedi e va fatto appena inizia la notte, appena diventano visibili le stelle; se non lo si è fatto in quel momento, è ancora possibile farlo tutta la notte. Al tempio, le sere di Shabbat e di Yom Tov, si inizia a contare dopo la recitazione del kiddush per dare la
precedenza alla sacralità della giornata. All’uscita di shabbat e di yom tov, l’Omer si conta prima della recitazione della havdalà in modo di ritardare la conclusione della giornata. Quando l’ultimo giorno di Pesakh capita all’uscita di Shabbat, bisogna recitare assieme kiddush e avdalà sul medesimo bicchiere di vino e anche in quel caso si conterà per prima l’Omer, così da ritardare l’avdalà.
2. Se qualcuno si è dimenticato di contare durante tutta la notte, lo può fare il giorno successivo senza dire la benedizione, mentre le sere seguenti conterà con la benedizione; è meglio però ascoltare la benedizione recitata da qualcun altro, alla quale si risponderà amen, uscendo d’obbligo con essa. Se si è dimenticato di contare anche durante tutto il giorno successivo, tutte le altre sere si conterà senza dire la benedizione. Qualora non si abbia la certezza di aver contato la sera precedente, anche se non si è fatto il conteggio nel corso della giornata, le sere successive lo si potrà fare con la benedizione.
3. Se qualcuno chiede, verso sera: «Quale giorno si conta oggi?» occorre rispondere: « Ieri era il tal giorno», poichè se si dichiarasse esplicitamente il numero di quel giorno non si potebbe più recitare la benedizione relativa.
4. A priori, prima di recitare la benedizione, occorre già conoscere su cosa la si pronuncerà, cioè bisogna sapere a che giorno del conteggio ci si trova; se si è iniziata la benedizione senza conoscere il numero a cui si è arrivati col proposito di adeguare il proprio conteggio a quello che si ascolterà da chi sta vicino, a posteriori, si sarà adempiuto ugualmente al proprio dovere. Analogamente, se ad esempio si è pronunciata la benedizione convinti di trovarsi al quarto giorno e, dopo la benedizione, ci si ricorda che invece bisogna contare il quinto, si potrà concludere la formula nel modo corretto senza dover ripetere la benedizione. E così, se ci si è sbagliati nel conteggio, per esempio dicendo che è il quinto giorno mentre in effetti è il sesto, se ci si accorge immediatamente e si conta correttamente, non è necessario ripetere la benedizione; se invece si è fatta una interruzione anche breve, sarà necessario benedire una seconda volta.