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IL CAFFÈ CON LA NAPOLETANA DI SHABBÀT1

Hillel Sermoneta

Alcuni amici italiani mi hanno domandato diverse volte se è

permesso fare il caffè di Shabbàt usando la caffettiera

napoletana. Per rispondere a questa domanda è necessario

esaminare come funziona la napoletana e vedere se esiste un

modo di usarla di Shabbàt senza compiere trasgressioni.

Come è fatta la caffettiera napoletana

La caffettiera napoletana è composta di quattro elementi, uno

sopra l’altro (vedi foto 1 nella pagina seguente):

1. il contenitore dell’acqua dotato di una maniglia ricurva e

di un piccolo forellino posto in alto sul lato.

2. Il contenitore del caffè, a forma di imbuto, dove si mette

il caffè macinato. Questo contenitore si alloggia ad

incastro dentro il contenitore dell’acqua.

3. Il filtro, che trattiene il caffè macinato ed evita che resti

in sospensione nella bevanda finale.

4. Il contenitore dove si raccoglie il caffè pronto per essere

bevuto e che si chiude a vite sul contenitore dell’acqua.

Questo contenitore ha un beccuccio ricurvo voltato verso

il basso, che serve per versare il caffè nelle tazze.

Come si fa il caffè con la napoletana

Per preparare il caffè, la caffettiera viene messa a cuocere con il

contenitore dell’acqua (N.1) a contatto con il fuoco. Quando

l’acqua giunge all’ebollizione, un sottile filo di vapore esce dal

forellino di sfiato del contenitore dell’acqua. Il vapore segnala

che è giunto il momento di prendere la caffettiera per i due

manici e voltarla a testa in giù. Il contenitore dell’acqua che era

a contatto con il fuoco, si viene così a trovare in alto (foto 2).

L’acqua del contenitore (N. 1) scende per effetto della

forza di gravità, passa attraverso il contenitore dove si trova il

caffè macinato (N. 2), assorbe il sapore e il colore del caffè, passa

attraverso il filtro (N. 3) e finisce nel contenitore dove si raccoglie

la bevanda (N.4).

Da qui il caffè può essere versato nelle tazzine grazie al beccuccio

che, dopo aver voltato la caffettiera, ha assunto il verso corretto

e cioè verso l’alto.

Le questioni halachiche del caffè con la napoletana

Le domande che si pongono al riguardo della permissibilità di fare

il caffè di Shabbàt con la caffettiera napoletana sono le seguenti:

È permesso prendere dell’acqua bollita, riempire il

contenitore dell’acqua della napoletana (N. 1), mettere il caffè

macinato nel contenitore (N. 2) coperto dal filtro (N. 3), coprire

la napoletana con il contenitore dove si raccoglie il caffè da bere

(N. 4), rovesciarla e bere il caffè cosi ottenuto, senza che la

napoletana sia stata posta sul fuoco o sulla plata di Shabbàt?

Nell’esaminare la permissibilità di fare il caffè in questo

modo è necessario analizzare due melakhòt che possono essere

coinvolte in questo processo: quella di borèr (selezionare) e quella

di mevashèl (cucinare).

Le 39 melakhòt di Shabbàt

Lo Shabbàt è una delle basi della vita ebraica; osservando lo

Shabbàt l’ebreo dichiara che l’Eterno è il Creatore del mondo. La

Torà insegna che l’osservanza dello Shabbàt viene realizzata

astenendosi da attività comuni durante la settimana lavorativa

(Shemòt, 20:8-11):

Ricorda il giorno dello Shabbàt per santificarlo. Lavorerai per sei

giorni e farai tutte le tue attività lavorative. E il settimo giorno

è Shabbàt per il Signore Tuo D. Non dovrai fare nessuna

melakhà né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né

la tua serva, né il tuo animale, né lo straniero che si trova

all’interno delle porte [delle tue città]. Perché il Signore in sei

giorni ha fatto il cielo, la terra e il mare e tutto quello che c’è

in essi e nel settimo giorno ha riposato. Per questo motivo il

Signore ha benedetto il giorno dello Shabbàt e lo ha consacrato.

ll termine melakhà è comunemente tradotto con l’espressione

“Attività lavorativa” . Questa espressione non è precisa e viene

usata principalmente perché in italiano non esiste un termine

migliore corrispondente a melakhà. Infatti il termine melakhà

non implica uno sforzo fisico in quanto ci sono delle melakhòt che

possono essere compiute senza sforzo.

Nella Torà non è scritto in modo esplicito quali siano le

melakhòt. I nostri Maestri ci hanno tramandato che il termine

melakhà nella Torà denota le 39 attività lavorative necessarie

per costruire e montare il Mishkàn (il Santuario mobile nel

deserto) e per la preparazione degli implementi necessari per il

servizio divino.

La melakhà di borèr (selezionare)

Nel Mishkàn la melakhà di borèr (selezionare) occorreva quando

veniva separato il grano dalla paglia e tolte le scorie e i sassi dai

chicchi di grano.

Nel caso della preparazione del caffè con la caffettiera

napoletana la presenza di un filtro pone il seguente problema: il

fatto che nel corso della preparazione del caffè ci sia un filtro

che impedisce al caffè macinato di mischiarsi alla bevanda rientra

nella definizione della melakhà di borèr oppure no?

Il commento Mishnà Berurà allo Shulchàn 'Arùkh (O. C.

319:1) spiega che la melakhà di borèr ha luogo quando occorre

una o più delle seguenti condizioni: si rimuovono le scorie da un

alimento; oppure quando la selezione viene fatta con un oggetto

fatto apposta per separare; o anche quando la selezione viene

fatta per mettere il prodotto da parte per consumo successivo

(questo è proibito anche se fatto manualmente e per separare

l’alimento dalle scorie).

La selezione non rientra invece nella classificazione della

melakhà di borèr quando viene fatta manualmente per consumo

immediato e separando l’alimento dalle scorie.

Una fonte talmudica che può rispondere al quesito

Il ventesimo capitolo del trattato Shabbàt dal Talmùd babilonese

tratta anche la melakhà di borèr.

Nella prima mishnà del capitolo viene presentato un caso

in cui la selezione rientra nella classificazione di borèr e pertanto

è proibita.

Nella seconda mishnà viene insegnato che alcune forme di

selezione sono permesse di Shabbàt in quanto non rientrano nella

definizione della melakhà di borèr:

Si può versare l’acqua sulle fecce [del vino] per ripulirle2 e

passare il vino attraverso un panno o un cestino egiziano ....

La mishnà insegna che chi vuole produrre una bevanda con il

sapore di vino può versare dell’acqua su questi avanzi, anche se

si trovano su un passino, per ripulirli del vino che ancora

contengono.

Nel passo della Ghemarà dove viene discussa questa

mishnà è detto:

Zeiri afferma: una persona può versare del vino limpido e

dell’acqua limpida in un passino di Shabbàt e poi bere senza

timore [di trasgredire la proibizione di selezionare]; [la cosa]

non [è tuttavia permessa] se non sono limpidi.

Questa azione è permessa perché facendo passare attraverso un

filtro dell’acqua o del vino che potrebbero essere bevuti senza

essere filtrati, non è stata fatta la melakhà di selezionare perché

non vi era nulla da separare dalla bevanda. Pertanto lo Shulchàn

'Arùkh (Òrach Chayyìm, 319:10), basandosi sulla spiegazione di

Zeiri e sul relativo commento di Rashì, conclude che è permesso

filtrare del vino o dell’acqua limpida con un passino3.

Riguardo alla questione delle fecce, il commento Art Scroll

alla Mishnà (nella versione inglese), citando il commento Mishnà

Berurà allo Shulchàn 'Arùkh (O.C., 319:33) offre una spiegazione

più esplicita:

Nonostante che versando dell’acqua sulle fecce nel passino si

generi una mistura di acqua e fecce che vengono separate,

quest'azione non rientra nella melakhà di selezionare perché la

persona che versa l’acqua non fa nessuna selezione. La sua

azione crea semplicemente una mistura e la selezione avviene

da sé. Inoltre dal momento che l’acqua e le fecce sono venute

a mescolarsi in una situazione nella quale non possono rimanere

insieme perché sono in un passino, non sono mai state

considerate una mistura4.

La Mishnà, la relativa spiegazione del Talmùd e la sopracitata

decisione halakhica dello Shulchàn 'Arùkh formano la base della

decisione halakhica che permette di versare acqua calda sopra

un passino che contiene le foglie del tè già cotte5. Ciò è

permesso perché il passino separa l’acqua dalle foglie del tè

immediatamente dopo che l’acqua viene versata (cioè non vi è

una mistura) e l’acqua che esce dal passino è la stessa acqua che

viene versata nel passino. L’acqua era bevibile anche prima e non

aveva bisogno di essere separata da alcun elemento estraneo6.

La melakhà di cuocere

La seconda questione da esaminare è se il passaggio dell’acqua

calda attraverso il caffè nella napoletana costituisca una cottura

dal punto di vista halakhico e quindi se sia proibita di Shabbàt

oppure no.

Il caffè per la napoletana è già stato tostato e macinato.

La Mishnà Shabbàt (T.B. 145b) afferma che un alimento che è

stato cotto può essere riscaldato di Shabbàt in quanto “En Bishùl

achàr bishùl” ("Non vi è cottura dopo cottura" - cioè una seconda

cottura non rientra più nella definizione della melakhà di

cuocere). Questa affermazione trova la sua spiegazione nel fatto

che il cambiamento organolettico nell’alimento è già stato

generato dalla prima cottura e una seconda cottura non ha più lo

stesso effetto.

In questo caso il problema che si pone è se la tostatura sia

equivalente a una cottura nell’acqua e se si possa applicare il

principio “En Bishùl achàr bishùl” e sia quindi permesso versare

acqua bollente sul caffè tostato.7 Sulla questione vi sono

opinioni divergenti. Lo Shulchàn 'Arùkh (O.C., 318:5) scrive:

C’è chi dice che è proibito cuocere in un liquido un alimento che

è stato precedentemente cotto nel forno o arrostito8; [secondo

questa opinione] è proibito porre del pane perfino in un

contenitore di “secondo grado” se la mano si scotta toccandolo;

ci sono invece opinioni che lo permettono9.

Un contenitore di “primo grado” (kelì rishòn) è quello che viene

messo sul fuoco a cuocere; un contenitore di “secondo grado”

(kelì shenì) è quello che non è a contatto con il fuoco e nel quale

viene versato un alimento da un contenitore di primo grado; un

contenitore di “terzo grado” (kelì shelishì) è quello che riceve un

alimento da quello di secondo grado.

La conclusione halakhica è che non si devono cuocere degli

alimenti che sono stati solo cotti nel forno o arrostiti neppure con

acqua calda che proviene da contenitore di secondo grado (kelì

shenì) se la mano si scotta toccandolo.

È però permesso farlo con acqua da un contenitore di

terzo grado come affermano il commento Mishnà Berurà allo

Shulchàn 'Arùkh (318:47) e i responsi Iggheròt Moshè10.

Secondo questa decisione è permesso scaldare un

alimento in un contenitore di terzo grado perché quando l’acqua

è stata versata dalla pentola nella quale è stata bollita (che è il

contenitore di primo grado) in un altro contenitore (quello di

secondo grado) e da questo in un altro contenitore (di terzo

grado), l’acqua non è più in grado di cuocere un alimento11.

Il caso del caffè con la napoletana di Shabbàt

Dopo queste introduzioni siamo in grado di esaminare se sia

possibile fare il caffè con la napoletana in modo permesso di

Shabbàt.

Come è stato spiegato in precedenza, nella napoletana

l’acqua limpida passa attraverso un contenitore con il caffè, ne

assorbe il sapore e passa attraverso un coperchio a filtro nel

contenitore inferiore.

Se questo caso è analogo a quello delle fecce del vino

(sulla base della quale si permette di versare acqua sulle foglie

del tè che si trovano in un passino), seguendo la decisione dello

Shulchàn 'Arùkh e della Mishnà Berurà, si può permettere di fare

il caffè con la napoletana di Shabbàt senza timore di trasgredire

la proibizione di borèr12.

Per evitare la proibizione di cuocere il caffè si può

utilizzare l’acqua che viene tenuta calda nel contenitore che è

stato messo sulla plata elettrica da venerdi prima di Shabbàt,

versandola in un secondo contenitore e da questo nella

napoletana. Dal momento che secondo la decisione halakhica di

rav Moshè Feinstein, un contenitore di terzo grado non può

cuocere, usando la napoletana in questo modo non si trasgredisce

la proibizione di cuocere di Shabbàt.

L’osservanza dello Shabbàt e lo ’Oneg Shabbàt

Nel Talmùd babilonese Shabbàt (118b) è detto a nome di Rav che

“I desideri di chi rallegra (“Me'aneg”) lo Shabbàt vengono

esauditi”. E questo lo si impara dal versetti “Rallegrati con il

Signore ed esaudirà i tuoi desideri “ (Tehillìm, 37:4) “e chiamerai

lo Shabbàt ‘Òneg (Yesha'yàhu, 58:13) .

Il Maharsha spiega che solo per lo Shabbàt è appropriato

permettersi dei lussi perché è scritto “e chiamerai lo Shabbàt

'Òneg”. E chi spende liberamente per i pranzi sabbatici per

osservare la mitzwà di 'Òneg Shabbàt, riceve come ricompensa

l’esaudimento dei suoi desideri.

Nel Talmùd Shabbàt (ibid.) è anche detto: Come si deve

rallegrare lo Shabbàt? Rabbì Chiyà figlio di Ashè a nome di Rav

disse "perfino una cosa piccola in onore dello Shabbàt si chiama

'Òneg Shabbàt”.

Subito dopo il Talmùd riporta un’altra derashà: rabbì Chiyà

bar Abbà a nome di rabbì Yochanàn disse: "chi osserva

propriamente lo Shabbàt, viene perdonato anche se ha servito gli

idoli come la generazione di Enòsh...”.

Perché la derashà di Rav viene giustapposta a quella di

rabbì Yochanàn? Cosa hanno in comune?

Forse si può opinare che i Maestri ci vogliono insegnare che

un piccolo lusso in onore dello Shabbàt è considerato 'Òneg

Shabbàt, però bisogna stare attenti che lo Shabbàt venga

osservato minuziosamente.

Nella Ghemarà Shabbàt (ibid.) è anche detto che se i figli

d’Israele avessero osservato il primo Shabbàt nessun popolo

avrebbe potuto dominarli.

Auguriamoci quindi di meritare di rallegrare lo Shabbàt e

di osservarlo propriamente in modo che si avveri la promessa di

rabbì Yochanàn a nome di rabbì Shim'òn bar Yochài (T.B. Shabbàt,

118a): “Se i figli d’Israele osserveranno propriamente due

Shabbatòt consecutivi verranno immediatamente redenti”.

NOTE:

1 Questo articolo è stato tradotto e adattato dall’ebraico. L’originale

intitolato “Beinyàn Hakhanàt Cafè Espresso be-Shabbàt” è stato pubblicato

nella rivista ‘Al Madin, Makhon Ariel, Yerushalaim, 5764. Quanto scritto vale

solo per la napoletana e non per altre caffettiere.

2 C’è chi traduce “diluirle”.

3 Lo Shulchàn 'Arùkh, pur decidendo sulla base della spiegazione di

Rashì, cita anche l’opinione del Rambam secondo il quale è proibito filtrare il

vino anche se limpido con un passino ed è permesso solo con un panno o con

un cestino. La Mishnà Berurà (O.C. 319:41) seguendo la decisione di Or Zarùa',

permette di mettere un liquido limpido nel passino, come afferma Rashì; tuttavia aggiunge che quando il vino è un po' torbido è bene seguire l’opinione

restrittiva del Rambam e non filtrarlo neppure con un panno (ibid., 319:42).

4 Mishnà Shabbàt (Brooklyn, Mesora Publications, 1982), cap. 20:2, p.

330.

5 Yehoshùa' Neuwirth, Shemiràt Shabbàt Kehilkhatà (Jerusalem, Bet

Midrash Halakhà Morià, 1979), Vol. I, p 58. Il fatto che le foglie del tè siano già

cotte fa sì che non vi sia alcuna proibizione di cuocere di Shabbàt, sulla base

del principio che per gli alimenti solidi “En bishùl achàr bishùl” (Non vi è

cottura dopo cottura).

6 Cfr. anche resp. Minchàt Yitzchàq 4:99, p. 222 che permette l’uso

del tè in bustina (purché con acqua derivante da un contenitore di terzo grado)

e Chazòn Ish, Shabbàt, Siman 53.

7 Attenzione: questa trattazione è limitata al caso di alimenti solidi;

per gli alimenti liquidi non si può applicare il principio che una seconda cottura

non ha effetto su un alimento già cotto (Cfr. S.A., O.C., 318:4 e 318:15).

8 Questa è l’opinione di R. Eli’èzer di Metz, autore del Sèfer Yereìm,

che si basa sulla Ghemarà Pesachìm (41a) dove è detto che chi cuoce il Qorbàn

Pèsach dopo averlo arrostito allo spiedo (o anche il contrario), trasgredisce una

proibizione (secondo l’opinione di R. Yossè). Infatti il Qorbàn Pèsach va solo

arrostito allo spiedo ed è proibito cucinarlo. Secondo il Sèfer Yereim questo

passo della Ghemarà è una prova che la cottura dopo l’arrostitura (o anche

dopo la cottura in un forno) ha un effetto sull’alimento. Se non avesse alcun

effetto, dovrebbe essere permesso cuocerlo dopo l’arrostitura in quanto questa

cottura non avrebbe effetto per via del principio “En bishùl achàr bishùl”.

9 Questa è l’opinione del Raavia citata da R. Mordekhay (Shabbàt,

Siman 302) che dissente e sostiene che la Ghemarà citata da R. Eli’ezer di Metz

non prova nulla, perché R. Yossè sostiene che solo per il Qorbàn Pèsach si può

dire che vi è una cottura dopo l’arrostitura; la regola però non si applica alle

halakhòt di Shabbàt. Il Raavia porta come prova contraria la stessa fonte di R.

Eli'èzer di Metz e cioè che dall’afffermazione di R. Yossè nella Ghemarà

Berakhòt (38b) si impara che la cottura nell’acqua dopo la cottura nel forno

ha un effetto solo sulla matzà perché perde il proprio gusto. Il Bet Yosèf (O.C.,

318:5) afferma che la prova contraria all’opinione di R. Eli’èzer da Metz è

molto convincente (qushià chazaqà). Riguardo all’opinione dello Shulchàn

‘Arùkh, cfr. Ha-Rav 'Ovadyà Yosèf, Yechawè Dà’at, O.C. Vol. II:44. Cfr. anche

Kaf Ha-Chayyìm, 318:65, che tratta l'argomento della preparazione del caffè

di Shabbàt.

10 R. Moshè Feinstein, Iggheròt Moshè (Brooklyn, by the author, 1992),

O.C., Vol IV, Resp. 74.

11 Vi sono tuttavia opinioni dissenzienti che affermano che finché

l’acqua è sufficientemente calda per scottare le mani, mantiene ancora la

capacità di cucinare (Cfr. Chazòn Ish, O.C., Hilkhòt Shabbàt, 52:19 e 'Arùkh

Ha-Shulchàn, O.C., 318:28).

12 Così ha confermato anche rav Feivel Cohen in una conversazione

informale con uno dei redattori. In ogni caso dal momento che ci sono diversi

tipi di apparecchi, è opportuno che chi vuole fare il caffè con la napoletana si rivolga al suo Rav.

Dediche
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In memoria di Antonella bat Giuseppina z.l.
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