top of page

Halakhà - ZÈKHER LA-CHURBÀN

Di Donato Grosser

Introduzione

Il primo Bet Ha-Miqdàsh fu costruito dal re Shelomò 440 anni dopo

l’uscita dall’Egitto. Dopo 410 anni fu distrutto da Nevuchadnetzar, Re di

Babilonia. Il secondo, costruito da ‘Ezrà e Nechemyà dopo 70 anni di

esilio babilonese, durò 420 anni e fu distrutto dall'imperatore Tito

nell'anno 70 e.v.

Il Bet ha-Miqdàsh era locato sul Har ha-Bàit. L’entrata principale

era ad oriente. Da lì si entrava nella ‘Ezràt ha-Nashìm, il cortile dove

potevano entrare uomini e donne. Passando attraverso la porta di

Nikanor si entrava nella ‘Azarà, il cortile dove vi era il Mizbèach (altare)

dove venivano messi ad ardere i sacrifici. A occidente del Mizbèach vi era

il Bet ha-Miqdàsh suddiviso il tre parti: l’Ulàm che fungeva da

anticamera, l’Hekhàl dove vi era il Mizbèach d’oro insieme con la Menorà

e il Shulchàn. Al di là dell’Hekhàl, separato dalla Paròkhet, una cortina, vi

era l’area denominata Qòdesh ha-Qodashìm con l’Aròn ha-Qòdesh, l’arca

che conteneva le tavole della legge. Nel Qòdesh Ha-Qodashìm entrava

solo il Kohèn Gadòl una volta all’anno nel giorno di Kippur.

Nel Bet Ha-Miqdàsh venivano fatti vari qorbanòt, sacrifici. La

parola qorbàn deriva dalla radice qrv che significa “avvicinare” e mette

in evidenza che i sacrifici sono un mezzo per avvicinarsi al Creatore. I

sacrifici si dividono in qodshè qodashìm (i più sacri) e qodashìm qalìm

(meno sacri).

Tra i sacrifici qodèsh qodashìm vi erano il chattàt che veniva

portato per espiare un peccato nei confronti del Creatore; la ‘olà (lett.

sacrificio di elevazione) che veniva portata per espiare i peccati di

omissione e veniva bruciata completamente sul Mizbèach. Il sacrificio

ashàm veniva portato per espiare l’appropriazione indebita sia nei

confronti di persone che nei confronti di cose sacre.

Qodashìm qalìm erano i shelamìm (lett. offerte di pace) offerte

private volontarie; il tamìd era il sacrificio pubblico che veniva portato

due volte al giorno, uno alla mattina e il secondo al pomeriggio; il mussàf,

il sacrificio pubblico aggiuntivo che si offriva di Shabbàt, nei giorni festivi

e di capo mese.


Il capro espiatorio

Nel giorno di Kippur, il giorno dell’espiazione dei peccati, venivano portati

altri qorbanòt, tra i quali anche il cosiddetto “capro espiatorio” che

espiava i peccati di tutto Israele.

Il Maimonide inizia le Hilkhòt Teshuvà con queste parole: “Se una

persona ha trasgredito a delle mitzwòt, sia prescrittive che proscrittive,

sia commesse di proposito che in errore, quando fa teshuvà e si allontana

dal suo peccato, è obbligato a confessarlo all’Eterno Benedetto...”.

Nel secondo paragrafo il Maimonide scrive: “Il Kohèn Gadòl fa la

confessione sul capro che viene mandato [ad ‘Azazèl], poiché serve da

espiazione per tutto Israele, perché è detto: “«E confesserà su di lui tutti

i peccati dei figli d’Israele»”.

E continua: “Il capro che viene mandato [ad ‘Azazèl] serve da

espiazione per tutte le trasgressioni della Torà, sia gravi che leggere, sia

commesse di proposito sia in errore, sia che il peccatore se ne sia reso

conto sia che non se ne sia reso conto. Tutto viene espiato con il capro

che viene mandato [ad ‘Azazèl] se ha fatto teshuvà. Se invece non ha

fatto teshuvà il capro serve da espiazione solo per i peccati leggeri. Quali

sono i peccati leggeri e quali quelli gravi? Quelli gravi sono quelli per i

quali si è passibili di pena di morte per mano del Bet Din o di karèt1, e i

giuramenti in vano e in falso, anche se non sono passibili di karèt. Tutti

questi sono quelli gravi, mentre le altre mitzwòt proscrittive e le mitzwòt

prescrittive per le cui omissioni non vi è il karèt2, sono quelli leggeri”.

La distruzione del Bet Ha-Miqdàsh per mano di Tito pose la fine

ai qorbanòt, ai sacrifici, e con essi all’espiazione dei peccati da loro

effettuata. E, come aggiunge il Maimonide, oggi per espiare i peccati non

ci resta che la teshuvà.


Zèkher la-Miqdàsh

La distruzione del Bet Ha-Miqdàsh e con esso la perdita del luogo dove

venivano espiati i peccati d’Israele, fu un evento catastrofico. Da allora

ricordiamo ogni giorno il Bet Ha-Miqdàsh e recitiamo tefillòt per la sua

ricostruzione.

R. Shelomò Yosef Zevin in Hamo’adìm Be-Halakhà (Parte

seconda, cap. 5) elencò alcune delle misure che i Maestri istituirono

“Zèkher la-Miqdàsh”, per ricordare il Miqdàsh. Egli inizia citando la

mishnà dal trattato di Rosh Hashanà (29b) dove è scritto: “Quando il

giorno festivo di Rosh Hashanà cadeva di Shabbàt, suonavano lo shofàr

nel Miqdàsh ma non nel resto dello stato. Da quando il Bet Ha-Miqdàsh

fu distrutto, rabban Yochanan ben Zaccai istituì che suonassero lo shofàr

in ogni luogo in cui vi era un Bet Din”.

Altre misure istituite dai maestri in ricordo del Miqdàsh sono il

conto dello ‘omer, tra Pèsach a Shavu’ot, che oggi è di origine rabbinica,

le haqafòt che si fanno nel giorno di Hoshanà Rabbà con la ‘aravà, i rami

di salice, attorno alla piattaforma dove si legge la Torà, e la lettura delle

parashòt di Sheqalìm e di Parà.

Inoltre durante il sèder di Pèsach oltre a mangiare la matzà e il

maròr separatamente, ognuno con la sua berakhà, avvolgiamo la matzà

e il maròr e li consumiamo insieme “in ricordo del Miqdàsh come faceva

Hillel”. Il braccio di pollo e l’uovo sul vassoio del sèder sono anch’essi in

ricordo del qorbàn Pèsach, l’agnello pasquale, e del qorbàn chaghigà, il

sacrificio aggiuntivo per la festa, che venivano portati al Bet Ha-Miqdàsh.

E anche l’afiqòmen, la matzà che mangiamo alla fine del sèder è in

ricordo del qorbàn Pèsach.

Nel giorno di Kippur, durante la ripetizione della tefillà di Mussàf,

vi è una sezione dedicata alla ‘avodà, al servizio che il Kohèn Gadòl

svolgeva nel il giorno di Kippur. R. Zevin aggiunge che secondo alcuni la

melodia tradizionale di questa sezione è sopravvissuta dai canti intonati

dai Leviti nel Bet Ha-Miqdàsh.


Zèkher la-Churbàn

Vi sono anche halakhòt istituite dai Maestri in segno di lutto per

ricordare il churbàn, la distruzione del Bet Ha-Miqdàsh.

Alla fine del trattato Sotà (49a) è raccontato che a seguito della

guerra di Vespasiano e di Tito, i Maestri proibirono, tra l’altro, le corone

alle spose.

La disperazione per la distruzione del Miqdàsh fu tale che alcuni

Perushìm, in segno di lutto vollero rinunciare a mangiare carne e a bere

vino e furono dissuasi da R. Yehoshua’ perché era un decreto (ghezerà)

che il popolo non sarebbe stato in grado di osservare (T.B., Bavà

Batrà,60b).

Nello Shulchàn ‘Arùkh (560:1) è scritto che dopo la distruzione

del Bet Ha-Miqdàsh i maestri prescrissero di non costruire case con i muri

decorati come le case dei re e di lasciare senza calce una sezione di un

braccio quadrato sul muro vicino all’entrata. Il Rema Isserles aggiunge

che in alcuni luoghi vi anche è l’uso di rompere un bicchiere sotto la

chuppà in segno di lutto per Yerushalaim3, un’usanza ormai diventata

praticamente universale. Un’altra misura istituita dai maestri fu la

proibizione di suonare musica durante i pranzi eccetto che durante i

matrimoni.

La principale manifestazione di lutto per il Miqdàsh e per

Yerushalaim va fatta quando se ne vede la distruzione. Lo Shulchàn

‘Arùkh (O.Ch., 561) prescrive di fare uno strappo della lunghezza di un

palmo sulla sinistra del vestito, come si fa per la morte di un genitore.

Nel trattato Mo’ed Qatàn (26a) è scritto: “Chi vede le città

distrutte della Giudea dice: “Le città sacre furono rese deserte” e fa uno

strappo [al vestito]; per Yerushalaim distrutta dice: “Sion divenne un

deserto e Yerushalaim, desolata” e fa un [altro] strappo. Per il Bet ha-

Miqdàsh distrutto dice: “Bet Qodshènu [la nostra sacra casa] e la nostra

gloria dove i nostri padri Ti lodarono, fu bruciata dal fuoco e tutto il

nostro tesoro è stato distrutto”, e fa un [altro] strappo [...]. Se vede

prima il Miqdàsh fa uno strappo per il Miqdàsh e aggiunge uno strappo

per Yerushalaim, se vede prima Yerushalaim fa uno strappo e strappa

nuovamente per il Miqdàsh”.

Lo Shulchàn ‘Arùkh (O.Ch., 561) aggiunge che “Se ha fatto uno

strappo per una delle città della Giudea, non ha bisogno di fare degli

strappi per altre città della Giudea, eccetto che per Yerushalaim per la

quale fa uno strappo individuale. Se ha fatto uno strappo per Yerushalaim

non ne deve aggiungere per le altre città della Giudea”.

I poseqìm aggiungono che le città della Giudea sono considerate

distrutte quando sono sotto controllo straniero4. Su questa base Rav

Zevin scrive che con il ritorno delle città della Giudea alla sovranità

ebraica nello Stato d’Israele ha senso (“mistabbèr”) affermare che la

regola di fare lo strappo del vestito per le città della Giudea non è più in

vigore.

La liberazione di Yerushalaim avvenuta cinquanta anni fa durante

la “Guerra dei sei giorni” fu un evento esilarante e chi visse quei giorni

ricorda la felicità con la quale si camminò verso il Kòtel, facendo la fila,

rivivendo il capitolo di Tehillìm (Salmi, 122) dove è scritto: “I nostri piedi

stavano fermi dentro le tue porte, o Yerushalaim”. R. Yehudà Moscato in

una delle sue derashòt (Nefutzòt Yehudà, 52), commenta che si stava

fermi per via della moltitudine di persone che dovevano fare la fila per

entrare a Yerushalaim.

Resta il fatto che lo strappo rimane obbligatorio per chi va a

visitare il Kòtel Ma’aravì e vede lo spazio del Miqdàsh occupato dalla

cupola dorata di ‘Omar e la città di Yerushalaim.

Chi visita il Kòtel di venerdì dopo mezzogiorno è esentato

dall’obbligo di fare lo strappo al proprio vestito. R. Moshè Feinstein nei

suoi responsi (Iggheròt Moshè, Y.D., III, 52:4) scrive che non conosce la

fonte di questa esenzione, tuttavia se c’è un minhàg (usanza) ormai

stabilito di non fare lo strappo, questo minhàg non va cambiato anche se

la fonte non è nota. L’obbligo di fare lo strappo sussiste solo per chi non

ha visto il Kotel o la città di Gerusalemme da trenta giorni. Chi ha già

fatto lo strappo entro trenta giorni non deve farlo nuovamente.

Rav Israel Belsky nei suoi responsi (Shulchàn Halevi, 16:4) scrive

che si può evitare di fare lo strappo per la città di Yerushalaim arrivando

al Kòtel da sud, attraverso la porta chiamata Sha’ar Ha-Ashpòt, senza

bisogno di passare per la città.

Riguardo all’idea che l’obbligo di fare lo strappo quando si vede

la città di Yerushalaim non sia più in vigore, perché la città non è in

rovina, rav Belsky afferma che la città di Yerushalaim è ancora

considerata “charevà” (in rovina) perché vi sono decine di edifici dedicati

alla ‘avodà zarà (culto estraneo). E questo, afferma rav Belsky, è molto

peggio che vedere la città in rovina5.

I maestri nel trattato Bavà Batrà (60b) insegnano: “Chi è in lutto

per Sion avrà il merito di vederla nella sua gioia, come è detto:

«Rallegratevi con Gerusalemme e festeggiate a motivo di lei, o voi tutti

che l’amate! Giubilate grandemente con lei, o voi tutti che siete in lutto

per essa!» (Yeshaya’, 66:10)»”.

E, come recitiamo ogni giorno alla fine della ‘Amidà “Sia la Tua

volontà, O Eterno, D. nostro e D. dei nostri padri, che il Bet Ha-Miqdàsh

venga ricostruito presto nei nostri giorni...”.


NOTE:

1 Karèt è una punizione divina per cui la persona che si è resa colpevole dei

peccati più gravi viene tagliata dal popolo d’Israele.


2 Le sole omissioni di mitzwòt prescrittive per le quali vi è il karèt sono la milà

e il qorbàn Pèsach.


3 Per “Città di Yerushalaim” si intende quella dentro le mura di Gerusalemme.


4 Nella Mishnà Berurà è scritto: “Anche se vi abitano israeliti, poiché sono sotto

il dominio degli ismaeliti sono definite distrutte” (561:2).

5 Rav Joseph Dov Soloveitchik, citato in Darosh Darash Yosef (p.410) scrive:

«Evidently, the mitzvah of eradicanting idolatry is an important part of the mitzvah of

yerushah vi-yeshivah. In the seventh chapter of Hilchot Avodah Zarah (7:1), Rambam

cites this halachah using the language of: “In Eretz Ysroel there is an obligation to pursue

and root out idolatry until we succeed in eradicating it from the entire countr”. From

Rambam’s language “From the entire country”, we can infer that until idolatry is

uprooted , it is not totally considered our land».

Tag:

Dediche
candela.jpg
In memoria di Antonella bat Giuseppina z.l.
Vuoi dedicare un numero della nostra newsletter in occasione di un lieto evento, per ricordare una persona cara o per una preghiera di guarigione? 
Cerca da un Tag
Segui "Arachim Italia" su Facebook
  • Facebook Basic Black

Ti è piaciuto quello che hai letto? Fai una donazione adesso e aiutaci a pubblicare altri

articoli e a svolgere le nostre attività!

ARACHIM ITALIA ONLUS – IBAN: IT 20 N 02008 05119 000029359091

© 2024 by "Arachim Italia Onlus". Proudly created with Wix.com

bottom of page