Hilkhòt Shabbàt - trasportare
SIGNIFICATO PARTICOLARE DEL «PORTARE»
Esaminando le categorie precedentemente elencate vediamo che sono quasi tutte attività chiaramente produttive. A prima vista, non appare chiaro come la melachà di «portare» rientri in questo concetto generale; in effetti, di tutte le melachòt indicate, questa ha meno chiaramente l’aspetto di «opera», anche nell’accezione speciale con cui abbiamo imparato a intendere questo termine nel quadro delle leggi Sabbatiche. Non sembra che il «portare» implichi alcun cambiamento essenziale e nemmeno un processo produttivo. Forse per questa ragione, e anche perché richiede preparazione e abilità esigue, non vi è, sfortunatamente, quasi nessun’altra legge della Torà che sia altrettanto ignorata. Eppure, come abbiamo visto, la Halachà pone inequivocabilmente il «portare» fra le avòt melachòt. È, questa, la prima melachà di cui si parla nel trattato Talmudico di Shabbàt, e sette dei successivi ventiquattro capitoli sono dedicati al medesimo argomento.
Ammonimento Profetico
Ancora più significativamente, quando al profeta Geremia fu ordinato di ammonire Irsaèle che il futuro dello stato ebraico dipendeva dal modo in cui la legge sabbatica era osservata, si attribuì particolare importanza al «portare».
Il testo del passo è il seguente (Geremia 17,19-27):
Così il Signore mi disse:« Và e fermati alla porta del popolo, là dove i Re di Giudea entano ed escono, e a tutte le porte di Gerusalemmee dì loro: Ascoltate la parola del Signore, o re di Giuda e tutto Giuda e tu, popolo tutto di Gerusalemme che entrate per queste porte».
Cosi disse il Signore:«Guardatevi a non portare alcun nel giorno di Shabbàt, non portate alcun carico nella cinta di Gerusalemme e non portate alcun carico fuori dalle vostre case il giorno di Shabbàt e non fate altra melachà, ma santificate il giorno di Shabbàt come Io ho comandato ai vostri padri...... Se mi darete ascolto», dice il Signore, «e non porterete alcun carico entro i confini di questa città il giorno di Shabbàt, ma santificherete lo Shabbàt, e non farete melachà in questo giorno, allora entreranno nella cinta della città re e principi che siederanno sul trono di David....e questa città sarà abitata per sempre..... Ma se non obbedirete consacrando lo Shabbàt, evitando di portare alcun carico entrando nella città di Gerusalemme il giorno di Shabbàt, Io farò divampare un fuoco dentro la città ed esso divorerà i palazzi di Gerusalemme e non verrà spento»
Abbiamo riportato per intero questo passo, anzitutto per dimostrare l’importanza che il messaggio profetico attribuisce al «portare» di Shabbàt e, più ancora, per rilevare il modo in cui questa melachà viene distinta da tutte le altre e trattata come se fosse una categoria a parte. Veniamo ammonoti di «non portare e di non fare altra melachà»: questo richiede una spiegazione.
Qual è la caratteristica comune delle altre trentotto categorie di melachà? Abbiamo visto già che esse sono legate, senza eccezzione, al mondo della natura; il loro significato risiede nel cambimento che tali attività determinano negli oggetti del mondo della natura, sia che si tratti di cambiamenti fisici (come nel «mietere», nel «cuocere», nel «tingere», nell’«accendere fuoco» acc.), sia che si tratti di all’ontanamentodi oggetti dal regno della natura per portarli nella sfera del potere e del controllo umano ( come nel fare «covoni» o nel «tendere trappole e cacciare»).
Organizzazione sociale
Tuttavia, nel caso del «portare» nessuna di queste due caratteristiche appare evidente. Quel che è proibito è trasferire un oggetto dalla proprietà privata a quella publica (e viceversa) e da un punto all’altro di un luogo publico. La definizione esatta di questi termini verrà data nel terzo capitolo; per ora osserviamo solo che la forma più usuale di questa melakhà consiste nel portare da casa in strada o da casa a casa attraverso la strada. Ci riferiamo qui a cose che si trovano chiaramente al di fuori del regno della natura: la casa, la via, la città appartengono a un’altra sfera, quella della società umana.
Se le altre melakhòt mostrano l’uomo che domina e controlla il suo ambiente naturale, questa ci mostra la sua attività nel mondo sociale: mentre porta qualcosa nell’ambito della comunità, mentre fa circolare i suoi beni materiali fra le case e attraverso le strade, non solo per scopi commerciali, ma anche per i fini personali e sociali della vita quotidiana. «Portare» è la melakhà caratteristica mediante la quale l’uomo persegue e raggiunge i suoi fini nell’ambito della società. Interrompendo ognuna delle altre melakhòt, noi proclamiamo che D-o è la Fonte del nostro potere sulle forze della natura; evitando di «portare», lo riconosciamo nostro Re nell’ambito della società umana. Questo vasto e complesso mondo di organizzazione sociale – il mondo delle case, delle vie e delle città – necessita (più di ogni altra cosa) dell’attuazione della presenza di D–o e del fine divino della santificazione e della dedizione espresse dall’astenersi dal compiere melakhà. La comunità, i cui membri si astengono dal «portare» di Shabbàth, pone il sigillo di D–o sulla sua vita sociale. Possiamo forse comprendere ora l’accento posto sul «portare» nel messaggio di Geremia allo Stato della Giudea. Esso è simile al messaggio di tutti i profeti: significa che Israele può esistere come nazione solo se si riconosce come popolo di D–o. E che cosa può esprimere questa dedizione della comunità meglio dell’astenersi dal «portare» di Shabbàth?
Il quadro ora è completo. Il concetto di melakhà è stato definito e si è accennato ad alcune delle concezioni che ne costituiscono lo sfondo. Il compito più importante e più vitale è ancora davanti a noi: dobbiamo vedere ora come la Torà desideri che sia realizzata in pratica e nei particolari la sublime concezione dello Shabbàth nella nostra vita quotidiana.
Tratto da "Lo Shabbàt" di Isidor Grunfeld