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Hilkhòt Shabbàt - Melachòt: Av e toledà

Classificazione secondo il fine


Abbiamo definito melakhà qualsiasi atto che denoti la padronanza dell’uomo sul mondo con esercizio voluto e costruttivo della sua intelligenza e abilità. Questo è il genere di attività dal quale ci si deve astenere di Shabbath, per riconescere il Creatore e renderGli omaggio.

Le attività comprese in questa definizione sono quelle che comportano modifiche sostanziali nell’ambiente che ci circonda, per fini produttivi: comprendono quindi tutta la gamma dell’attività produttiva umana.

Ai fini dell’osservanza della legge sabbatica, queste attività sono classificate in 39 categorie, derivanti, come abbiamo detto, dalla costruzione del Santuario nel deserto. In questa classificazione il fattore decisivo non è dato dalla natura fisica dell’attività, ma dal suo oggetto o scopo. Ciò è perfettamente conforme al concetto di melakhà come l’abbiamo già sviluppato: è soprattutto il fine produttivo che dà all’attività il carattere di melakhà.

La categoria 2, per esempio, riunisce sotto un’unica voce attività diverse come seminare, piantare, innestare, potare e innaffiare piante: tutte si propongono un fine comune, cioè favorire la crescita della pianta, e sono quindi comprese in una medesima categoria di melakhà. Per fare un altro esempio, la categoria 11 comprende non solo bollire, cuocere, friggere ecc., ma anche attività industriali come fondere ferro o temperare acciaio; il principio generale, in questo caso, è mutare lo stato fisico o chimico di una sostanza mediante calore.



AV E TOLEDÁ

Una melachà rappresentativa viene in ogni caso scelta dalla tradizione orale, perché dia il nome alla categoria. Si tratta di attività già svolte per la costruzione del Santuario e note come

av melachà. Nel primo esempio citato più sopra, l’av melachà è «seminare» ed è questo il nome della categoria; nel secondo l’av è «cuocere». Le altre attività comprese nella categoria, il cui status di melachà è dato dal fine che hanno in comune con l’av ( pl. Avòt ), sono note come toladòt ( derivate, pl. di toladà ). Per ogni fine pratico non vi è differenza alcuna fra av e toladà: compiere volutamente l’una o l’altra attività costituisce ugualmente una grave profanazione dello Shabbàt. L’elenco riportato nelle precedenti pagine e relativo al Santuario è di fatto identico della trentanove avòt melachòt. Alla luce di quanto già detto, ognuna di esse va considerata come una parola chiave che rappresenta un intero gruppo di attività svolte per un fine analogo. In realtà la tradizione orale ci dà qui un magistrale riassunto dei fini produttivi dell’umanità. Nel terzo capitolo cercheremo di definire il fine comune che costituisce il substrato delle varie attività comprese in ogni categoria e tenteremo di fare una selezione di alcune melachòt e delle relative disposizioni rabbiniche che si possono presentare più frequentemente. Prima di passarle in rassegna dobbiamo esaminare il particolare carattere dell’ultima di queste trentanove categorie: la melachà che va sotto il nome di «portare».


Tratto da "Lo Shabbàt" di Isidor Grunfeld

Dediche
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In memoria di Antonella bat Giuseppina z.l.
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