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Hilkhòt Shabbàt - Concetto principale


Concetto principale

La legge scritta ci dà lo schema della legislazione Sabbatica. La Tradizione orale deve aggiungere solamente i dettagli, dando le definizioni dei termini e applicando quei dati principi a tutte le questioni pratiche che si presentino nella vita quotidiana. Pertanto, per tuti gli scopi praticibisogna ricorrere alla Tradizone orale, alla Halachà.

Ogni studioso di Halachà può, da solo, notare il sistema vasto e logicamente costruito delle leggi dello Shabbàt. Quanto più profondamente le studierà, tanto più si radicherà in lui la convinzione che non si tratta di una serie di leggi elencate a caso, ma di un vero e proprio sistema, cioè di un corpo coerente e coordinato di leggi derivanti da un idea centrale e conformi a essa. Qual è dunque il principio generale che è alla base del concetto di melachà e che costituisce pertanto il fondamento dell’intera istituzione dello Shabbàt? È della massima importanza trovare tale principio, poichè nulla a nuociuto tanto alla giusta osservanza dello Shabbàt quanto il grande equivoco che la melachà equivalga semplicemente a uno sforzo o a una fatica fisici. Molti pensatori ebrei hanno cercato di esprimere un’idea principale di questo genere, per dare così la chiave dell’intero, vasto sistema delle leggi Sabbatiche. L’esposizione fatta S.R. Hirsh, uno dei maggiori pensatori ebrei del secolo scorso, è molto adatta al modo di pensare moderno.



L’idea che è alla base della melachà

Esponendo la sua interpretazione della melachà, S.R. Hirsh inizia con l’idea generale che lo Shabbàt testimonia che D-o è il Creatore supremo della terra e del cielo e di tutto quanto vi è in essi. L’uomo è impegnato in una costante lotta per ottenere il dominio di quello che D-o ha creato, per porre la natura sotto il suo controllo, e valendosi dell’intelligenza, dell’abilità e dell’energia dategli da D-o vi è in gran parte riuscito; per questa ragione è esposto costantemente al pericolo di dimenticare la sua natura di creatura, cioè la sua dipendenza assoluta e completa dal Signore. Egli tende a dimenticare che la stessa potenza di cui si vale per dominare la natura deriva dal suo Creatore, al cui servizio lui stesso, la sua vita e il suo lavoro dovrebbero essere rivolti.



Il compito di Israele

In un mondo che dimentica sempre più Dio, a Israele è stato affidato il compito di preservare questa verità che è la massima importanza per la futura salvezza dell’umanità. Dio ha voluto quindi che l’ebreo, assoggettando e controllando il mondo circostante come ogni altro essere umano, debba riconoscere, dimostrandolo, che la propria potenza deriva dal creatore di tutto l’universo. Questa ammissione va manifestata dedicando ogni settimana un giorno a Dio e astenendosi dal compiere in questo giorno qualsiasi attività che significhi dominio dell’uomo sulla natura.


Rinuncia al dominio

Noi rinunciamo in questo giorno a qualsiasi attività di controllo intelligente e finalizzato sulle cose e sulle forze della natura; interrompiamo qualsiasi atto di potenza umana al fine di proclamare Dio Fonte di potere. Astenendosi dall’esercitare la potenza umana, l’ebreo rende un silenzioso omaggio al Creatore.

La caratteristica essenziale della creatività umana è il fine intelligente che la determina. Questo, quindi, è il significato del basilare principio di Halakhà che costituisce il fondamento di tutta la legge sullo Shabbàth: Melekhet machashevet aserà Torà, cioè «la Torà vieta- come melakhà - la realizzazione di qualsiasi proposito di intelligenza che renda necessario l’uso di abile attività pratica».

Questa è pure l’interpretazione del principio, che altrimenti sembrerebbe oscuro, secondo il quale un atto di pura distruzione, per vigoroso che sia, non costituisce melakhà: Kol a meqalqelim peturim.

Pertanto, se si dovesse abbattere una casa, mossi solo dall’intento di distruggerla, non si commetterebbe melakhà (benché non sarebbe certo un modo raccomandabile di trascorrere lo Shabbàth e l’atto sarà pertanto comunque proibito dalla legislazione rabbinica).

Se invece si dovesse compiere lo stesso atto con proposito costruttivo di liberare l’area per renderla utilizzabile per ricostruire, allora sarebbe melakhà.

Vediamo chiaramente a questo riguardo che è il fine che conta e che l’atto di melakhà è soltanto un espressione dell’umana intelligenza creativa, se il fine cui rende è costruttivo.

La melakhà comprende quindi qualsiasi attività di natura costruttiva che determini un cambiamento significativo nel nostro ambiente materiale: significativo, cioè, relativamente alla sua utilità per gli scopi umani. Pertanto qualsiasi atto, anche minimo, che renda manifesto il dominio dell’uomo sulla natura costituisce melakhà.

La melakhà è: un atto che manifesta il dominio dell’uomo sulla natura, eseguito mediante l’uso costruttivo della sua intelligenza e abilità


Una limitazione significativa

Alla luce delle considerazioni delle scorse settimane, si può agevolmente comprendere come sia privo di senso l’argomento, spesso ripetuto, che non si compie nessuno sforzo per accendere la luce elettrica né per scrivere una parola. Come se l'uso dell'elettricità non fosse una conquista dell’uomo sulla natura per il solo fatto che servirsene non richiede sforzo! O come se scrivere una parola non costituisse una manifestazione del potere inventivo dell’uomo solo perché sembra così semplice!

Le azioni possono essere più eloquenti delle parole. Rinunciando completamente in questo giorno a questo tipo di attività, l’ebreo, come rappresentante dell’umanità davanti a Dio, afferma solennemente che è solo per volontà di Dio che l’uomo ha «il dominio su tutta la terra» e che solo Dio è Fonte di ogni creatività.

Sia ben chiaro che astenersi dal compiere melakhà è un atto spirituale positivo. Il lavoro che l’uomo compie durante la settimana e l’illusione che esso alimenta sono come un velo che nasconde davanti ai suoi occhi la vera natura dello scopo della sua vita terrena. Astenersi dal compiere melakhà significa sollevare questo velo. Fino a quando nella nostra vita di Shabbàth resti una benché minima traccia di melakhà, il velo rimane abbassato. Nel campo spirituale, il minimo atto può avere un effetto identico a quello dell’atto più grande.

Colui che pensa di compiere anche una sola melakhà in quel giorno nega con il suo atto Dio come Creatore e Padrone del mondo: ecco perchè profanare lo Shabbàth compiendo melakhà equivale per la Torà all’apostasia e all’idolatria, mentre vedere un bambino o una bambina ebrei che di Shabbàth evitano di cogliere anche un solo fiore costituisce nei confronti di Dio una testimonianza più grande di tutte le parole solenni dei poeti e dei filosofi.

Comprendiamo quindi perché astenersi dal compiere melakhà sia una delle condizioni essenziali dell’osservanza dello Shabbàt.


Tratto da "Lo Shabbàt" di Isidor Grunfeld

Dediche
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